Mercoledì 24 Aprile 2024

Migranti nel Mediterraneo: abbracciata al figlio: l’incontro con la morte in fondo al mare

La barca è affondata ad aprile in Libano con decine di persone a bordo. I soccorritori hanno tentato di recuperare il relitto e i corpi: la madre era incastrata nell’oblò mentre provava a salvare il piccolo

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DavideRondoni

Al di là dell’oblò c’era forse la vita. Ma la madre con il suo bambino in braccio non ce l’hanno fatta. Li hanno visti così, i soccorritori in fondo al mare. Il 24 aprile scorso una barca maledetta, condotta da maledetti mercanti di disperati, è naufragata in circostanze ancora da chiarire dinanzi alle coste del Nord del Libano, Paese un tempo felice e ora dilaniato dalle crisi. Delle 85 persone che c’erano, una metà era andata a fondo con la barca. E nella stiva c’erano donne e bambini.

Nei giorni scorsi un equipaggio di recupero finanziato da privati libanesi e australiani ha cercato di recuperare quei poveri corpi. Senza riuscirci. E uno di loro ha raccontato di aver visto la madre, restata incastrata nel tentativo di uscire dall’oblò con in braccio il suo bambino, ancora lì, custodita dagli abissi. Lì resteranno, divorati dal cupo blu del Mediterraneo, come tanti, troppi innocenti.

I loro corpi, la loro disperata fame di vita, devono brillare, devono bruciare nei nostri occhi. E negli occhi dei potenti che permettono o addirittura strumentalizzano questo mercato orrendo, questa speculazione mortale sulla fame e sulla povertà. Abbiamo visto ogni genere di pena, ogni genere di speranza nel triste vasto teatro dell’emigrazione, nel cimitero marino. Abbiamo veduto l’inimmaginabile. E qualunque pretesa di semplificare questo fenomeno risulta ridicola dinanzi all’enormità di quest’ultima scena. Chiunque di noi, avesse potuto, chiunque, anche chi su temi come l’immigrazione se la cava con analisi a basso costo, a basso impegno, facendo il duro o anche il buono ma sempre a basso costo, basso impegno, ecco, chiunque avrebbe afferrato quelle braccia tese dall’oblò, avrebbe fatto di tutto, di tutto.

E di tutto occorre fare perché il fenomeno diminuisca, con decisioni politiche, senza lavarsi la coscienza facendo i buoni dell’ultimo miglio, e venendo incontro ai bisogni delle popolazioni colpite da guerra e carestia, senza che proliferino e si arricchiscano sulle loro sventure mercanti di altra sventura. Occorre governare e aiutare. Lo chiede anche questa icona dolcissima e tremenda.

La vita era di là dall’oblò, stretto come l’incuranza dei governanti, come la cupidigia dei mercanti di morte, stretto come la nostra anima se questo dolore non diviene problema morale per ciascuno toccato da notizie così. La commozione, lo sappiamo, dura poco. E pensare che sia la commozione il motore che muove le scelte di governo di problemi così grandi e comolessi è stupido. La differenza tra commozione volatile e impegno morale sta nel fatto che la prima lascia tutto come prima, il secondo muove a essere più intelligenti, più attivi, più impegnati con il dolore e i problemi che lo generano. Dobbiamo allargare l’oblò della nostra vita. Lo dobbiamo a lei e al suo bambino.