Mi chiamo Jamie, Jamie Bond E perché no?

Piero

Degli Antoni

Mi chiamo Bond, Giacoma Bond. D’accordo, non suonerà tanto bene, forse potremmo accomodarlo con un Il mio nome è Bond, Jamie Bond, va già meglio. 007 ha la licenza di uccidere, ma anche quella di cambiare sesso. D’altronde nel mondo dello spettacolo il valzer dei generi è sempre stato praticato: dagli attori shakespeariani maschi che interpretavano ruoli femminili, alle donne che nel cinema contemporaneo hanno ricoperto parti maschili: da Tilda Swinton a Glenn Close, da Cate Blanchett a Barbra Streisand, addirittura a Julie Andrews.

Chiudete gli occhi e immaginate la scena: Jamie Bond sdraiata sulla spiaggia vede uscire dal mare Sean Connery con un bikini bianco, no scusate, volevo dire con un Sundek bianco. Immaginate a parti rovesciate una Jamie Bond sciupamaschi, una specie di vedova nera che trascina il macho di turno nel proprio letto, lo spolpa e poi lo butta via. I ragazzi sarebbero contenti, ve lo dico io. D’altronde se esistono le donne poliziotto, carabiniere e soldato, perché non dovrebbero esistere le agentesse segrete? Mata Hari usò soprattutto il fascino femminile per destreggiarsi nel gioco delle spie, ma dopo un secolo potremmo concedere alla nostra Jamie il porto d’armi, senza contare le numerosi arti marziali che la metterebbero in grado di combattere corpo a corpo con i più pericolosi criminali, beati loro. Insomma, cambierebbe tutto, tranne una cosa: il cocktail Martini vodka. Agitato, non mescolato.