Mercoledì 24 Aprile 2024

Messina Denaro, il pentito: "Non era il capo dei capi, la mafia l'ha scaricato"

L’opinione di Leonardo Messina, che partecipava ai vertici con Riina. "Messina Denaro era uno stragista deciso a farsi strada col sangue. La malattia lo ha minato, non poteva più garantire sicurezza al clan. Ora potrebbe parlare"

Roma, 18 gennaio 2023 - "Potrei sbagliare, ma la cattura di Matteo Messina Denaro mi è sembrata una ‘consegna’ dopo una lunga trattativa più che il risultato di un blitz al termine di una complessa indagine. La dinamica dell’arresto, tra l’altro, non ha avuto nulla della spettacolarità di altre importanti operazioni di polizia. Le manette, la fretta del trasferimento, la processione di macchine, le divise e le armi, scene consuete in casi come questo, non si sono viste. Pareva che accompagnassero in prigione una signorina e non un importante criminale per quanto malandato. Il futuro dirà se ho ragione". Viene da lontano, forse dall’estero, la voce di Leonardo Messina, ex boss di mafia, collaboratore di giustizia dal ‘92, principale accusatore di Andreotti e di un esercito di oltre 200 persone tra politici, imprenditori e faccendieri. "O forse è stato venduto da un pentito", aggiunge col tono gelido di chi torna improvvisamente con la mente al torbido mondo dell’onorata società, quando anche lui viveva di ordini da impartire, di missioni da eseguire, di armi da usare e di silenzi da rispettare.

Il boss (pentito) che accusò Andreotti: "Borsellino mi disse: è la mia ora"

La strage di Capaci, dove fu ucciso Giovanni Falcone
La strage di Capaci, dove fu ucciso Giovanni Falcone

Comunque sia andata per la Mafia è un colpo durissimo.

"È vero, un successo dello Stato ottenuto non so attraverso quali meccanismi e quali eventuali contropartite. È storia vecchia, anzi vecchissima ed è successo con il bandito Giuliano, con Riina, con altri. Matteo Messina Denaro ha seri problemi di salute, la latitanza è dura almeno quanto il carcere e non sempre chi ti protegge è disposto a dare una mano a una persona che necessita di cure importanti e che, anche per questo, è un uomo sostanzialmente ‘perduto’, e cioè senza speranze. Non escludo che passata l’eco della sua cattura cominci a collaborare ovviamente in cambio di qualche vantaggio. Se c’è chi trema? Vediamo".

Cosa cambia, adesso, nell’organizzazione mafiosa?

"In pratica, nulla. Lui non era il capo dei capi. Quella figura, da vero Padrino, attualmente non esiste. Era, però, un importante, ambizioso stragista deciso a farsi strada attraverso un percorso di sangue. Tutti i mafiosi sono spietati, anch’io lo sono stato, è la regola. Non faccia caso ai miei modi gentili e al fatto che potremmo mangiare le tagliatelle insieme, siamo tutti sanguinari. Lui era un esecutore più che un organizzatore. Adesso, e prima di prendere un’iniziativa, la Cupola valuterà la consistenza del suo sottocapo e degli altri uomini che gli sono stati più vicino".

Lei, di famiglia mafiosa da sette generazioni e uomo di rispetto di alto livello, quali rapporti ha avuto con lui?

"Non l’ho conosciuto personalmente, ma conosco bene il suo passato. Abbiamo in parte lo stesso cognome, ma non siamo parenti. È figlio di un boss morto latitante e molto protetto politicamente. Alla scomparsa del padre non ne ha ereditato il potere, perché la mafia non è un regno. È diventato, però, capo mandamento di Trapani, e cioè responsabile delle comunità di alcuni centri alle dirette dipendente della Commissione Interprovinciale".

Capo mandamento, ma forse anche molto di più.

"Col tempo il suo ruolo ha preso consistenza, omicidio dopo omicidio, strage dopo strage. Così è diventato un boss. Ma un vero boss, un Riina, per esempio, non si muove di persona per piazzare una bomba allo stadio Olimpico di Roma, attentato poi fallito, e neppure per colpire Maurizio Costanzo, anche questo pure fallito, e per le bombe di Firenze e di altre località. Un vero capo decide, ordina e aspetta che l’azione venga compiuta. Quando Falcone venne condannato a morte io c’ero. La decisione fu presa in tre riunioni a Enna. Io ero responsabile della sicurezza e avevo piazzato gli uomini nei punti strategici della città pronti a intervenire nell’eventualità dell’arrivo dei carabinieri. Avevo un sofisticato congegno proveniente dal Giappone, grazie al quale intercettavo i dialoghi e le mosse dei militari. La ‘struttura’ mi comunicò il nome delle persone presenti e quindi da proteggere. In quell’elenco, Matteo Messina Denaro non c’era".

Trent’anni di latitanza, mille segnalazioni a vuoto, sospetti, ipotesi e certezze: dov’era?

"L’unica certezza è che non si è mosso dalla sua area operativa. Come tutti i boss suoi predecessori. Ha certamente effettuato qualche trasferimento, ma sempre in zona. Un capo per far funzionare la sua macchina non può allontanarsi, questa è la regola. È un po’ come il sindaco di un paese, ma vorrei aggiungere una considerazione".

La aggiunga.

"Matteo Messina Denaro attualmente è un uomo fragile, gravemente malato. Non può più garantire certe sicurezze, ma nello stesso tempo è diventato un personaggio scomodo. La sua latitanza ha scatenato, da tempo, intercettazioni, tantissime, controlli, pedinamenti, interrogatori e posti di blocco. Con la conseguenza di pesanti disagi e di seri problemi per lo svolgimento dei mille affari della mafia. Con la sua cattura la struttura si è liberata di un peso. Sì, insomma, ormai inservibile, se lo sono levati dalle scatole".