di Nino Femiani
Le ultime ore di vita di Matteo Messina Denaro non hanno la grandezza malinconia di quelle del principe di Salina nel Gattopardo e, forse, somigliano più agli ultimi istanti di mastro don Gesualdo quando prende coscienza della gravità della sua malattia e del fallimento della sua vita. Ai titoli di coda, il boss è solo, davanti a Dio e alla sua coscienza, se questo binomio non crea ribrezzo ai veri credenti e ai familiari delle sue vittime. Al passo d’addio, l’uomo che i ‘picciotti’ chiamavano ‘Diabolik’ per l’abilità di sottrarsi per trenta anni alle patrie galere, ha davanti a sé l’abisso, senza nessuno che stavolta lo possa salvare o nasconderlo in un covo segreto. È solo, Matteo. Annega nel suo sudore e nella sua infermità e, chissà, forse ha ancora la lucidità di ripensare al tanto dolore che ha inflitto e alla poca felicità che ha dispensato.
"Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici". Nel lettino dell’ospedale ‘San Salvatore’ a L’Aquila – dove si avvicendano il primario del reparto, Luciano Mutti, e gli esperti della terapia del dolore coordinati dal dottor Franco Marinangeli - si conclude la sua trentennale carriera di canaglia. Non ci sarà un tempo supplementare, il commiato è vicino e la sua adorata nipote, Lorenza Guttadauro (figlia di Filippo Guttadauro e della sorella Rosalia), anche suo avvocato di fiducia, è una delle poche persone a poterlo avvicinare durante la lenta agonia. Non ha voluto vedere, invece, la figlia Lorenza che pure è arrivata a L’Aquila e aveva chiesto e ottenuto di portare il cognome del padre. All’anagrafe non si chiamerà più Lorenza Alagna (dal cognome della madre, Francesca) com’era stata registrata alla nascita, il 17 dicembre 1996, ma Lorenza Messina Denaro.
Sono in tanti a chiedersi perché – pur vedendo la sagoma del Sinistro Mietitore – abbia rinunciato di incontrare per un’ultima volta quella figlia a cui, nell’incontro avuto in carcere ad aprile, aveva rimproverato di non avere lo stesso slancio della nipote verso di lui e la "famiglia".
I rapporti con la giovane si erano infatti interrotti dopo che lei decise di rifiutare i canoni della famiglia. Ma forse la porta chiusa è solo una scusa per non farsi trovare con il fisico e, a volte anche la mente, provato duramente dalle conseguenze della malattia, per lasciarle il ricordo di un padre potente e temuto.
La cartella clinica del padrino malato è, infatti, impietosa: il tumore al colon è giunto ad uno stadio molto avanzato, non sopporterebbe altre chemioterapie. Il boss di Castelvetrano, alterna momenti di lucidità in cui appare persino di buonumore e si alza dal letto a fasi di grande debolezza e prostrazione. Nei giorni scorsi, è andato in coma per la reazione di farmaci somministrati per la terapia del dolore: si è ripreso dopo che sono state rimodulate dosi e medicine. L’eclissi di Messina Denaro, prima incarcerato e ora moribondo, pone il problema della successione al trono di Cosa Nostra.
Chi dovrà sostituire ‘Diabolik’ nella gestione dei mandamenti e nell’allocazione delle grandi liquidità delle attività criminali? E soprattutto cambierà la mafia nel dopo-Messina Denaro, dopo il lungo periodo di inabissamento? La struttura piramidale ha bisogno di un ‘capo dei capi’, ma stavolta bisognerà sceglierlo a Palermo. Messina Denaro, boss del Trapanese, era infatti una anomalia. Si fa il nome di Giovanni Motisi, ‘u pacchiuni’, sicario del commissario Peppe Montana, ma ha già 65 anni. Si cerca qualcuno più giovane come Giuseppe Auteri, 49 anni, ‘ o vassoio’, gestore della ‘cassaforte’ del mandamento di Porta Nuova, tra i clan più ricchi di Palermo. Come Sandro Capizzi, boss di Villagrazia, in buoni rapporti con i colletti bianchi e gli imprenditori. Si aspetta solo il funerale di ‘Diabolik’, morto un papa se ne fa un altro.