Merzario, 80 anni in pista "Corro finché mi diverto Ma ho sempre avuto paura"

Il pilota classe 1943 e la vita ad alta velocità: salvai Niki Lauda, fu fortunato a incontrarmi "Enzo Ferrari mi considerava un figlioccio per i miei modi scanzonati. E nel 2024 farò la Dakar"

Migration

di Dario Crippa

"Corro ancora? Certo". E snocciola un fitto calendario di gare, in Italia e all’estero. "E sa una cosa? Finalmente realizzo un sogno: nel 2024 farò anche la Dakar, da ragazzo non avevo tempo. Oggi corro quando voglio, mi pagano ancora per farlo". Fino a quando? "Finché mi diverto e non mi peserà".

Arturo Merzario – “Arturio”, errore all’anagrafe che fece correggere anni fa – l’11 marzo compirà 80 anni, ma conserva lo spirito di un’altra epoca. Quando correre era il suo mestiere e fare il pilota ("mi raccomando, non il corridore") significava rischiare la pelle. Da ragazzo, col suo modo di fare scanzonato, faceva impazzire ragazze, giornalisti, colleghi, persino Enzo Ferrari. E non solo per i tre phon che usava per pettinarsi come i Beatles, ma per il coraggio in pista. In tutte le categorie, dalle piccole turismo alla Formula Uno.

Che cos’è la velocità?

"Non è andare a 2000 all’ora, va associata all’obiettivo che si insegue. È come un atleta che salta l’asticella e deve saper coordinare tempo, spazio e velocità di esecuzione: un modo di vivere che corrisponde sempre a un fine. Sei sempre in competizione, innanzitutto con te stesso".

E un pilota vorrebbe sempre arrivare primo.

"Eppure vincere non è tutto: a volte puoi arrivare anche a metà classifica ma, considerato quello che è accaduto, sai che hai fatto la tua gara migliore. Anche solo arrivare sotto la bandiera a scacchi è una vittoria. I piloti possono essere veri bastardi".

E Merzario?

"Ero un pilota da battaglia, oggi sono un pilota saggio, il giorno che non sentirò più l’adrenalina attaccherò il cappello – pardon il casco – al chiodo".

Il cappello è il suo marchio di fabbrica.

"Quando tutti erano filo-sovietici, io ero filo-americano e da bambini cosa c’è di più bello di sognare di essere un cowboy? E così al primo viaggio in America ne comprai uno. Prima mi guardavano con sufficienza e disprezzo, poi ho iniziato metterci sopra uno sponsor...".

Chi le piace dei piloti di oggi?

"Hamilton ha imparato, da quando Lauda entrò come stratega nella sua scuderia, che se si vuole vincere bisogna anche saper perdere. Il primo ragioniere in F1 fu Jackie Stewart, ma Lauda fu il Maestro e Prost diventò il Professore: non basta essere i più veloci, ma saper scegliere in una frazione di secondo".

Ha sempre detto che Lauda era uno "stronzo". Eppure nel 1976 gli salvò la vita al Nürburgring...

"Per lui è stato fondamentale aver trovato uno come me sulla sua strada. Non sapevo che macchina e che pilota stessero bruciando, ma quando ho visto le fiamme mi sono fermato...".

E lo salvò.

"L’ho estratto dalle fiamme della Ferrari 312 T2 e gli praticai la respirazione bocca a bocca imparata al servizio militare. Rischiai di perdere la licenza, non si poteva lasciare la macchina in mezzo al circuito. Ma non ci pensai, feci quel che andava fatto. All’inizio era cosciente e non riusciva a star fermo. Gli urlavo di rilassarsi, sennò le cinture di sicurezza rimanevano in tensione e non riuscivo a sganciarle. Il calore era insopportabile: feci due tentativi, poi Niki svenne e si rilassò. E riuscii a estrarlo".

Lo chiamava amico-nemico ma alla fine faceste pace...

"Nel 2006 Bernie Ecclestone organizzò al Nürburgring la rievocazione dell’incidente: per la prima volta Niki riconobbe pubblicamente che mi doveva la vita".

Ecclestone nascose un orecchio finto dietro un guard-rail.

"Una scenetta un po’ pacchiana, finsi di trovarlo e dissi a Niki: “Oh, guarda, ecco dove hai perso il tuo orecchio”. Ci facemmo grandi risate, anche Lauda".

I piloti hanno paura?

"Io ne ho sempre avuta tantissima, chi dice di non averla è un pirla. Ai miei tempi soprattutto la paura non era tanto di morire, ma era rimanere menomati".

In F1 ha disputato 85 gare con sei auto diverse, Ferrari compresa. Com’era Enzo Ferrari?

"Potevi andarci d’accordo solo se eri tra i fortunati e io ero considerato il suo figlioccio per i miei modi di fare scanzonati. Invece il gruppo di lavoro Ferrari ti massacrava. Io sono stato l’unico a mollarla di propria volontà e il Vecchio ha sempre sostenuto che avevo le palle...".

È molto legato all’autodromo di Monza. Ogni anno il Gran Premio sembra a rischio...

"Purtroppo non sono riusciti a salvaguardare il Tempio della velocità. Dovrebbe funzionare tutti i giorni, se non ci fossero di mezzo i politici ma qualche imprenditore, Monza non dovrebbe cercare ogni anno i soldi per andare avanti. E invece ha perso un mucchio di gare, perché non ha saputo adeguarsi".

Non vi annoiate, voi piloti, a girare sempre in tondo?

"(ride) Ma un giro non è mai uguale all’altro... È come far l’amore con una donna, non lo fai mai nella stessa maniera".

Una moglie da quasi 60 anni, due figli di 58 e 56 anni, nipoti, pronipoti… Come festeggerà i suoi primi 80 anni?

"Niente di speciale, so solo che scapperò: in parecchi mi hanno già chiamato per organizzare la mia festa e io non voglio scontentare nessuno".