Meno tasse per spingere la crescita La linea Draghi: manovra espansiva

Il Cdm vara misure per 30 miliardi, il presidente del Consiglio: "Quest’anno il Pil crescerà ben oltre il 6%". Braccio di ferro tra Cinque stelle e centrodestra sul reddito di cittadinanza. Confermata Quota 102

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di Antonella Coppari

Draghi esulta: "È una manovra espansiva, che porta maggior coesione sociale ed equità. Il Paese crescerà ben oltre il 6% e noi vogliamo mantenere questa crescita". In conferenza stampa il premier non riesce a trattenere un moto di compiacimento: non solo è riuscito ad incassare il massimo del consenso intorno ad una difficile legge di Bilancio di 30 miliardi, lo ha fatto appena 24 ore dopo il naufragio del ddl Zan al Senato, dove la sua maggioranza ha rischiato di esplodere. "È stato un lavoro notevole, siamo molto soddisfatti e alla fine del Consiglio dei ministri c’è stato un applauso. C’era la sensazione della condivisione". Quindi, sciorina le misure principali: 12 miliardi per il taglio delle tasse, Quota 102 per un anno poi si torna al sistema contributivo per le pensioni, stretta sul reddito di cittadinanza che viene rifinanziato, riforma degli ammortizzatori anche se quello “universale“ è ancora da definirsi".

In realtà, il percorso è stato accidentato e, soprattutto, rischia di esserlo ancora. Con i Cinquestelle il braccio di ferro si è prolungato fino alla riunione di ieri, con una telefonata tra Super Mario e il suo predecessore Conte. Sul cashback i pentastellati hanno dovuto mollare, mentre su alcuni particolari del reddito di cittadinanza qualcosa hanno strappato, dovendo però digerire alcuni correttivi su cui ha insistito il centrodestra, a cominciare dal ministro Brunetta. "Condivido il principio di questa misura – osserva Draghi – ma il sistema precedente non ha funzionato". Fermo restando che il passaggio fondamentale, la revisione della struttura, è ancora tutta da definirsi.

Sulle pensioni il Pd ha insistito per tentare di riaprire il dialogo con i sindacati. Un passo avanti il premier l’ha fatto, sino a rimettere di fatto in discussione l’intangibilità della riforma Fornero, ma per conoscere l’esito di un confronto che parte in salita, bisognerà aspettare parecchi mesi. "Non ho mai condiviso quota 100. L’obiettivo è il ritorno al contributivo, ci sarà un transizione di un anno a quota 102". Sul fisco tutto è ancora da vedersi, c’è il fondo, però non ci sono le destinazioni: "Se ne discuterà con le parti sociali e con il Parlamento". Insomma, i titoli della legge di bilancio ci sono, l’orizzonte è chiaro perché su quello è davvero inflessibile: "Le pensioni come il debito pubblico si risolvono solo con la crescita". Ma per il resto, la legge è in buona parte tutta da scrivere.

Per questo Draghi, nonostante la sincera soddisfazione per gli ottimi risultati che può vantare, è apparso diverso da quello degli ultimi mesi. Felpato, diplomatico, reticente. In alcuni casi si è spinto sino a far propria una delle abitudini della politica italiana, quella di esorcizzare i problemi negandoli come quando ha affermato che con i sindacati non c’è stata nessuna rottura. Già: per la prima volta, si è trovato a fare i conti con la complessità del nostro sistema, con le esigenze dei partiti e con la spinta di forze sociali i cui interessi sono spesso confliggenti.

Dunque, ecco il Draghi "dialogante". E chissà se in questo parziale cambio di marcia non c’entri anche l’appuntamento che condiziona ora le azioni di tutti i partiti e di tutti i politici italiani: l’elezione del capo dello Stato. Si sa che il premier la scelta ancora non l’ha fatta, ma si sa pure che è molto tentato. Ed è possibile che, per ogni evenienza, voglia evitare di ritrovarsi nella condizione della sua ministra della giustizia, candidata in pole position bruciata proprio dallo scontro con un parte essenziale della maggioranza.