di Antonella Coppari
ROMA
Concreto, poco formale e, come al solito, molto pratico. Nell’assemblea di Confindustria, Mario Draghi va diritto al succo della questione: per realizzare il piano di rilancio che l’Italia ha consegnato a Bruxelles, si deve remare tutti dalla stessa parte, altrimenti c’è il rischio che i soldi europei vadano a farsi benedire. "È necessario un patto economico, produttivo e sociale: bisogna mettersi seduti tutti insieme e cominciare a parlare di quello che si fa sui vari capitoli. Lavoriamo per le generazioni future". Prima di salire sul palco, non era intenzionato a usare una parola evocativa come “patto“, però il presidente degli industriali, Bonomi, l’offre su un piatto d’argento e lui raccoglie l’invito, quasi un ramoscello d’ulivo dopo mesi di tensioni. È tanto convinto dell’opportunità di arginare la conflittualità per arrivare a dama con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e di resilienza) da convocare per lunedì i sindacati, e poi promettere che non farà brutti scherzi sul fronte fiscale: "Non abbiamo intenzione di aumentare le tasse, in questo momento i soldi si danno, non si prendono". Incassa la “ola“ degli industriali, e qualcosa di più: il suo ospite lo considera "l’uomo della necessità" e gli augura di restare a lungo a Palazzo Chigi per portare a termine un’impresa che richiede molto di più dei trequattro mesi che ci separano dall’elezione del capo dello Stato. Di sicuro, bisogna arrivare al 2023, e probabilmente anche oltre.
Lo sa bene Draghi. Figuriamoci se non guarda l’orologio come fanno gli altri: evita però di pronunciarsi sull’invito di Bonomi. Evidentemente non ha ancora deciso di rinunciare al Quirinale, ancorché come notano in molti, è la logica stessa del suo discorso a spingere in quella direzione. Inutile chiedergli di andare più in là, abbracciando la richiesta di tornare a Chigi dopo le elezioni nel 2023. Entra però nel merito dell’impresa: la crescita del 6%, che sarà indicata nella prossima manovra (confermata da Standard e Poor), deve diventare strutturale. "La sfida per il Governo e per tutto il sistema produttivo e le parti sociali è fare in modo che questa ripresa sia duratura e sostenibile". Indica nella ripresa dei contagi e nell’aumento dei prezzi, soprattutto per l’energia, gli ostacoli che potrebbero frenare la marcia, allontanando il Paese dal vero obiettivo: un 10% di crescita nel biennio 20-21. Se il Green pass ("strumento di libertà") e le vaccinazioni ("alla fine del mese deve essere immunizzato l’80% degli italiani") sono i mezzi per evitare una nuova ondata epidemica, per superare l’altro scoglio punta su misure immediate come i provvedimenti varati in serata dal Consiglio dei ministri per contenere la stangata su luce e gas, ma anche su una strategia di lungo periodo che parte dalla legge sulla concorrenza da lui annunciata per ottobre e passa attraverso le riforme previste dal Pnrr. Finora ne sono state approvate 8 su 27, con 5 investimenti realizzati su 24: resta una montagna da scalare per la fine dell’anno, di qui il richiamo ai ministri: "Dobbiamo mantenere l’ambizione e la determinazione dei mesi scorsi".
Il cuore dell’analisi che fa agli industriali è politico, non economico. "Un governo che cerca di non far danni è molto, ma non basta per affrontare le sfide dei prossimi anni". I maligni ci leggono un riferimento all’esecutivo Conte. Ciò che di sicuro consegna agli atti è la ricostruzione della storia in cui rintraccia nella conflittualità sociale l’origine di tutti i nostri mali. "I tassi di crescita di oggi li abbiamo visti negli anni ’50, forse negli anni ’60. Ma all’inizio degli anni ’70 quel giocattolo si è rotto perché sono state totalmente distrutte le relazioni industriali". Bisogna fare il contrario, e cioè "tenerle assieme, anche se è facile che vadano sotto pressione quando il quadro internazionale cambia". Insomma quello che ci vuole è la pace, e soprattutto pace sociale. E Draghi, ricalcando un po’ le orme di Carlo Azeglio Ciampi, si candida ad essere il garante del "patto economico, produttivo e sociale".