Meno schede bianche del previsto Il messaggio: niente urne anticipate

Disattese le indicazioni dei leader: così i peones dicono che non vogliono perdere il posto anzitempo. Dallo scrutinio escono nomi in libertà. Alla fine il più votato è il costituzionalista Paolo Maddalena

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di Ettore Maria Colombo

ROMA

Quando il presidente della Camera, Roberto Fico, alle 21.41 legge il risultato del primo scrutinio capisci che o la sorte è assai beffarda oppure il regno del peone ha colpito ancora. Sulla carta, il partito di "Bianca Scheda", come viene affettuosamente chiamata da tutti, aveva 917 voti, contando i tre blocchi sui quali poteva contare: 455 voti del centrodestra, 413 del centrosinistra, 49 centristi, e senza neppure contare i gruppi minori che dovevano accordarsi. Invece, le schede bianche risultano appena 672, cioè esattamente 245 voti in meno di quanti ne dovevano risultare, all’ingrosso. Una debacle, per tutti i grandi partiti che non controllano i loro parlamentari. Non solo i 5 Stelle, ma proprio nessuno. Su 1009 grandi elettori, scesi a 1008 solo ieri, perché il quorum sarà reintegrato oggi con il primo dei non eletti che subentrerà al deputato azzurro Fasano, deceduto, e appena 976 votanti (ben 32 gli assenti, il numero più alto nella storia) i conti dei partiti fanno acqua da tutte le parti.

Al netto di ben 49 schede nulle e ben 88 voti dispersi – altri due record – e il tripudio dei voti scherzosi o in libertà, ma molto pericolosamente in libertà, il più votato è l’ ex giudice costituzionale Paolo Maddalena (doveva contare su un pacchetto di 40 voti e ne prende 36), seguito dall’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella (16); poi tanti nomi con poche preferenze. Si va dai magistrati Carlo Nordio e Nicola Gratteri alle donne Elisabetta Belloni e Marta Cartabia, dai politici Silvio Berlusconi, Ettore Rosato, Umberto Bossi, Pierluigi Bersani, fino a Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Marco Cappato (e spunta anche un Bettino Craxi). Per il resto, siamo nel regno del conte Mascetti, il protagonista di "Amici miei" che, quando fu votato per la prima volta, a una elezione quirinalizia, fece epoca. C’è chi pesca nel mondo del giornalismo (Bruno Vespa in testa ma anche Alfonso Signorini e Claudio Sabelli Fioretti) e dello sport (Claudio Lotito) e chi in quello dello spettacolo vero e proprio (Amadeus, Signorini).

La verità politica, però, è un’altra e dice che, prima di accordarsi nelle segrete stanze tra loro, i leader e il futuro presidente – Draghi in testa – devono conquistare i favori di un Parlamento riottoso e malmostoso, non facile a concedersi, perché teme una sola cosa: il voto anticipato, il vitalizio che non scatta, lo stipendio che sfuma.

Da questo punto di vista, il black out che irrompe in tutto il Palazzo e che terrorizza i cronisti almeno quanto i parlamentari, mentre la giornata volge al buio della sera e fuori dal Palazzo fa un freddo cane, fa il paio con il black out che va in onda nel primo scrutinio.

Eppure, le operazioni di voto vanno avanti in modo spedito, e l’emergenza Covid, non fosse che per quel piccolo nugolo di grandi elettori cui tocca votare nel garage della Camera, neppure si sente. Il Transatlantico è pieno come un uovo, anche se – causa il voto per scaglioni – meno che nelle grandi occasioni precedenti. Quello che non va è l’umor nero dei parlamentari, del peone medio. Il quale si sente così sfrattato e defraudato del suo potere che, nella sola occasione in cui può davvero contare (l’elezione del Capo dello Stato) grazie al voto segreto e al potere di diventare franco tiratore, decide di prendersi la rivincita. Ieri almeno è andata così, da oggi, invece, chissà.