Giovedì 18 Aprile 2024

Meloni lancia l’allarme "Pnrr, ritardi evidenti"

La leader di Fratelli d’Italia: "Difficili da recuperare. Lo so: daranno la colpa a noi"

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di Alessandro Farruggia

Non lo nega, il difficile viene adesso. Ma Giorgia Meloni, davanti all’esecutivo di FdI, rilancia: "Il nostro sarà un governo politico forte, con programma chiaro, un mandato popolare e che porterà avanti politiche di discontinuità rispetto a quelle messe in piedi negli ultimi anni dagli esecutivi a trazione Pd". Sa che l’attenderanno al varco – opposizione, poteri forti e mercati – e per questo mette le mani avanti, aprendo un fronte di tensione con il premier uscente. Sa che il Pnrr sarà il vero primo banco di prova per il futuro governo e questo gli dà anche l’opportuntà di scrollarsi di dosso l’accusa di “draghismo“. "Siamo di fronte alla fase forse più difficile della storia della repubblica italiana ed ereditiamo una situazione difficile – dice Meloni – i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata".

È una giustificazione in totale dissonanza con quanto, nelle stesse ore, Mario Draghi dice alla cabina di regia del Pnrr a palazzo Chigi: "Non ci sono ritardi nell’attuazione del Pnrr: se ce ne fossero, la Commissione non verserebbe i soldi. Per quanto riguarda il secondo semestre – ha illustrato il presidente del Consiglio – l’attuazione procede più velocemente dei nostri cronoprogrammi originari. Spetta al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione, e sono certo che sarà svolto con la stessa forza ed efficacia". Il riconoscimento della correttezza istituzionale è reciproco , ma la frattura è netta, perché Draghi non è disponibile a fare da capro espiatorio dell’eventuale inefficacia del prossimo governo nel portare a casa i fondi del Pnrr, e Meloni teme le insidie nell’attuazione delle prossima fasi del Pnrr. Davanti ai suoi taglia corto sugli spigoli della formazione del governo ("non date retta ai retroscena sui rapporti con gli alleati, io sto dialogando con tutti e alla fine troveremo una soluzione") e avverte che il governo avrà anche profili tecnici, ma non per questo sarò meno politico. "Non sarà composto per risolvere beghe interne di partito o proponendo qualsiasi nome o per rendite di posizione. Si parte dalla competenza e se quella migliore dovesse essere trovata al di fuori degli eletti, a partire da FdI – dice – questo non sarà certo un limite. Ma questo non cambia la natura fortemente politica del governo". E una cosa tiene a chiarire: "Rispetto tutti i partiti della coalizione, ma non mi farò imporre nomi che non siano all’altezza della situazione".

Inevitabile che questo sia letto come uno stop a Salvini al Viminale. Non un veto, dice uno dei suoi, ma "una questione di opportunità". Il totonomi dava ieri all’Economia il supertecnico Fabio Panetta, agli Esteri la direttrice del Dis e già segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, all’Interno Antonio Tajani, alla Difesa Adolfo Urso. Salvini potrebbe scegliere tra Lavoro e Sviluppo Economico, magari con la casacca di vicepremier assieme a Tajani. La Lega avrebbe anche l’Agricoltura con Gianmarco Centinaio e le infrastrutture con Edoardo Rixi, e vuole gli Affari Regionali mentre FdI avrebbe la Giustizia con Nordio, l’attuazione del programma con Fazzolari, uno tra Lavoro e Sviluppo Economico (con Crosetto), la Famiglia e forse la Cultura, mentre a Forza Italia andrebbero anche Scuola, Sanità (in lizza Bernini e Ronzulli) e i rapporti con l’Europa.