di Paolo Franci Laggiù, a fondo campo di una vicenda sempre più intricata, Nole Djokovic si difende strenuamente. Sullo sfondo, il rischio del carcere e un colpo di mannaia alla carriera. E l’arma più affilata di The Djoker stavolta non è un rovescio lungolinea, ma una parola che userà spesso: "Disinformazione". Un modo elegante per catalogare quella che secondo la sua versione è una bufala. E cioè che se ne sia andato in giro nel suo Paese nonostante fosse risultato positivo al Covid. È invece costretto ad ammettere che non tutto è andato liscio nel suo ’Australia gate’ e che di errori ne ha commessi. Anche grossolani. Tutto questo mentre il governo australiano sta per deciderne la sorte: resterà in Australia o no? E ha mentito o no? I media australiani si sono buttati a pesce su questa storia, ovvio, ricordando a tamburo come una dichiarazione falsa sul test anti Covid, in base al Crimes Act, possa costare 5 anni di carcere. Quale? L’incongruenza è tra il post su Instagram in cui Nole dice di aver ricevuto il risultato positivo del test molecolare il 17 dicembre, dopo avere effettuato il test 24 ore prima e la deposizione giurata in tribunale dove avrebbe parlato di "test e responso" il 16 dicembre. Se, certo, sarà difficile vedere Nole col pigiama a righe, molto più serio è il rischio che il numero uno al mondo possa pagare carissimo dal punto di vista della carriera, così come ci ha tenuto a specificare l’Atp: "Un giocatore che dovesse falsificare il test anti Covid? Squalifica per 3 anni". A 34 anni sarebbe la fine. E ha fatto scalpore un’indagine del Der Spiegel, che ha posto seri dubbi sull’autenticità del responso del test del 16 dicembre e quindi dei documenti inviati al governo australiano. Le incongruenze? Dal timestamp, ...
© Riproduzione riservata