
Resta aperto il fronte penale. Secondo indagini della Procura. la residenza dell’uomo. in Svizzera era fittizia.
Andrea Pignataro, il secondo uomo più ricco d’Italia dopo Giovanni Ferrero, ha deciso di chiudere i conti con il fisco. E il prezzo per farlo è piuttosto salato: 280 milioni di euro. È questa, infatti, la cifra che il ’Bloomberg italiano’ dovrà pagare all’Agenzia delle entrate che gli contestava di aver evaso imposte per mezzo miliardo nel decennio dal 2013 al 2023, conto salito a 1,2 miliardi con le sanzioni e gli interessi. La vicenda era deflagrata nei mesi scorsi perché Pignataro era finito nel mirino, oltre che del fisco, anche della Procura di Bologna che aveva aperto un fascicolo per evasione fiscale.
Ora l’imprenditore, 55 anni, a capo del colosso inglese Ion, ha scelto di fare un accordo con l’Agenzia delle entrate, quello che in gergo si chiama "accertamento con adesione", che prevede appunto il pagamento di 280 milioni, comprensivi di sanzioni e interessi, rateizzati in cinque anni. In questo modo, almeno dal punto di vista fiscale, la vicenda sarà chiusa. Resta invece aperta l’inchiesta penale, anche se dopo l’accordo con l’erario potrebbe imboccare una strada decisamente favorevole a Pignataro.
Il finanziere è finito sotto la lente del pm Michele Martorelli perché la sua residenza a Sankt Moritz è stata ritenuta fittizia. Gli inquirenti, infatti, hanno esaminato viaggi, celle telefoniche e relazioni personali arrivando alla conclusione che Pignataro passa la maggior parte del tempo in Italia. Dunque, in Italia deve anche pagare le tasse.
Pignataro, nato a Bologna, è noto soprattutto per la sua riservatezza. Laureato in Economia all’Alma Mater, ha conseguito un Phd in matematica all’Imperial College di Londra, poi ha lavorato come trader a Salomon Brothers prima di fondare, nel 199, il gruppo Ion. Il suo patrimonio, secondo Forbes, è di 34,2 miliardi di dollari e il suo gruppo ha effettuato varie acquisizioni, da Cedacri a Cerved e Prelios. Lui, la moglie e i figli hanno molte proprietà sparse fra Bologna, Milano e la Sardegna. Ora, una parte dell’immenso patrimonio finirà nelle casse dello Stato italiano.
Gilberto Dondi