Mauro Covacich: "Correre è come una droga (ma ti migliora)"

Lo scrittore Mauro Covacich racconta l’ossessione per il footing: "Non è una pratica sportiva, è una scelta esistenziale"

Lo scrittore-runner Mauro Covacich

Lo scrittore-runner Mauro Covacich

"Correre è una vertigine introspettiva, la ricerca di sé attraverso la fatica". Mauro Covacich, triestino di 56 anni, sposato e senza figli, laureato in filosofia, ex insegnante di liceo, è uno scrittore affermato. È anche un video performer. Ha un alter ego letterario che si chiama Rensich ed è un maratoneta. Se potesse, alla voce professione sulla carta d’identità metterebbe una parola chiave: runner. Il suo ultimo libro edito da La nave di Teseo si intitola Sulla corsa. Correre è quel che fa ogni giorno, ovunque si trovi. O meglio faceva. Ora deve accontentarsi di un part time a passo ridotto: il cuore ipertrofico, diagnosticato nel 2016, gli vieta l’agonismo. Nell’armadio una tuta di felpa ha sostituito indumenti tecnici e fibre traspiranti. Le scarpette no, non cambiano. E se le porta sempre dietro. Non si sa mai.

È vittima di troppo correre?

"La corsa è una prodigiosa ossessione: se ti prende, finisce per possederti. Diventa compulsiva. Una pazzia che colpisce molti mettendo alla prova cartilagini, menischi, tendini: lo vedi, ma non puoi smettere".

Quando ha cominciato?

"Avevo 11 anni, una garetta per i figli dei dipendenti nell’azienda dove lavorava mio padre. Mancava poco alla fine e ho avuto la folgorazione: sono primo e sto morendo. Sensazione provata spesso in seguito, senza essere diventato un campione".

Perché questa malattia è così comune?

"È un virus contagioso. Di fatto la corsa è una sfida ai propri limiti: muoversi da ciò che sei verso quello che dovresti essere. L’ambizione a diventare migliore".

Una tendenza alla perfezione?

"In partenza sì. Durante il percorso ti accorgi che perfino le stelle sono imperfette: si muovono solo c’è l’amore, da Aristotele a Dante".

La meta più ambita è la maratona?

"La madre di tutte le corse: 42 chilometri e 195 metri di pura fatica. Se riesci ad addomesticarlo, il dolore diventa piacere".

Quale piacere?

"Una piccola morte, simile a quella che provano le donne dopo l’orgasmo. Anche gli uomini più virili possono sentirla. È una forma di erotismo".

Allora il tapis roulant è autoerotismo? (ride)

"Beh sì, c’è di meglio".

Che cos’altro è la corsa?

"Dipendenza e insieme libertà. Bellezza, purezza. È guardare il mondo dal finestrino di un treno e il treno sei tu. La passione evolve in disciplina con l’allenamento: ubbidisci a un metronomo superiore che scandisce ordine, ritmo, misura della vita. La resistenza alla fatica è un’arte marziale".

Non sa di masochismo?

"È una rivelazione. Il fuoco nel petto e il martello sulle tempie danno la cognizione del dolore. Ancor più importante nella società anestetizzata di oggi, che allontana dal corpo anche la più piccola sofferenza. Al contrario, chi corre la maratona di New York è disposto a ogni sforzo per arrivare al Central Park: taglia il traguardo e controlla l’orologio, ma ha vinto comunque".

Correre stimola la forza mentale?

"Almeno quanto quella muscolare. In questo senso la differenza uomo-donna è minima. Chi corre si guarda dentro, non allo specchio come i culturisti".

Dov’è più bello correre?

"In montagna, nei campi, sugli argini. Però è a bordo strada che si entra in un’altra dimensione".

L’ora migliore?

"Per me è la sera, magari con il freddo o la neve. La corsa a fine giornata è una pulizia mentale: il fiume che lava i sassi".

Da soli o in gruppo?

"Correre con un gruppetto di amici fidati è stimolante. Ma il rito è individuale: la solitudine favorisce il monologo interiore, la mente vaga dove vuole".

E le cuffiette? Murakami, maestro di scrittura e della corsa, le usa sempre.

"Chi corre con un obiettivo vuole ascoltare il suono del respiro, il battito del cuore. Niente auricolari. Murakami è il più amato da chi corricchia".

Lei li chiama corricchianti: la infastidiscono?

"Un tempo sì, c’è un conformismo salutista diverso dalla passione. La pandemia ha riversato all’aperto un popolo di jogger e camminatori mai visto prima. Ma sono diventato indulgente".

Si sente uno di loro?

"Sognavo di volare, adesso mi limito a sollevare i piedi da terra. Va bene anche così".