Matteo Messina Denaro, i complici nel suo feudo. "Protetto da una fetta di borghesia"

Si cerca il covo a Castelvetrano. La denuncia: le forze dell’ordine si sono sempre pestate i piedi tra loro

Palermo, 16 gennaio 2023 - "Amo vivere da solo, mi piacciono le cose belle". Andrea Bonafede, uomo di poche parole (e però vanitoso: nella falsa carta d’identità si è dato un anno in meno...), aveva trovato il modo di descriversi con sintetica efficacia ai sanitari della clinica La Maddalena. Solo che il Bonafede stava parlando di un altro se stesso, del vero se stesso. Cioè di Matteo Messina Denaro. Che, in trent’anni di latitanza, ha effettivamente vissuto da solo, anche se non sempre. E che di cose belle ha sempre amato circondarsi. Così tanto che, a un certo punto, la pista delle bollicine sembrava una delle più battute, per tentare di catturare l’Assoluto, come l’avevano ribattezzato sui muri della sua Castelvetrano. È successo più di una volta: una soffiata e via con il blitz in uno dei covi. Lui, che forse non era sempre solo, era già scappato, ma sul tavolo restavano caviale e champagne. E già allora si capirono due cose.

La prima: a MDM le cose belle piacciono eccome. Un suo gusto estetico, anche se macabro, ce l’ha sempre avuto. Si dice pure che scelse gli obiettivi delle stragi del 1993 (Roma, Milano, Firenze) consultando una serie di dépliant turistici. E alla prima si lega la seconda: per potersi permettere una latitanza “bella”, diversa da quella ricotta-e-cicoria dei Riina e Provenzano, ha goduto di una rete di sostegno e di coperture per vivere tranquillo a casa sua, a Castelvetrano (che di bellissimo, a essere onesti, ha i templi di Selinunte) o comunque in Sicilia.

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Messina Denaro-Bonafede è partito per Palermo da Campobello di Mazara con il suo autista fiancheggiatore Giovanni Luppino. Se è partito da lì, dal trapanese, è evidente che il covo è da quelle parti. Infatti le ricerche si concentrano fra Castelvetrano e Campobello, per scoprire anche chi ha coperto, favorito e finanziato la fuga. Negli anni per favoreggiamento sono finiti in cella centinaia di fedelissimi del padrino, quelli che comunicavano a colpi di “pizzini“, compresi sorelle, cognati e fratelli. D’altra parte ogni anno, ogni 30 novembre, la famiglia Messina Denaro firmava il necrologio per Francesco, don Ciccio, il padre di Matteo, pubblicato sui giornali dell’Isola. E si dice che quelli più “ispirati“ (con citazioni bibliche) li dettasse Matteo in persona. Una strategia investigativa, quella di far terra bruciata, che ha dato i frutti sperati. Ma le complicità vanno oltre. Lo stesso procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, ha chiarito come sia risaputo che "fette della borghesia" abbiano fatto parte della rete dei favoreggiatori.

Per tanti anni, Giacomo Di Girolamo ha condotto ogni mattina Dove sei Matteo?, trasmissione radiofonica con un indizio al giorno per provare a seguire le tracce del concittadino "invisibile". Ora che Matteo è stato trovato, come si spiega una latitanza così lunga?. I motivi, dice Di Girolamo, sono tre. "Uno: è stato dife so costantemente dal suo territorio. D’altra parte, non ci sarebbe un capomafia senza la sicurezza di essere protetto a casa sua. Due: le gravi connivenze della borghesia mafiosa. Quelle che gli hanno permesso di scampare a blitz che sembravano infallibili. Tipo nel 1998, quando sapeva benissimo che lo cercavano e – dice la leggenda – scappò su un’ambulanza".

Il terzo motivo è un atto d’accusa: "Non sapevano cercarlo, purtroppo. Ora quest’operazione brillante è stata possibile perché se n’è occupato un solo magistrato. Prima – spiega Di Girolamo – si pestavano i piedi tra di loro polizia, carabinieri, guardia di finanza. Negli anni Duemila, un sindaco fu infiltrato dai servizi segreti per provare a catturare il boss, ma nessuno lo sapeva e una fuga di notizie fece saltare tutto". Quel sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, si firmava Svetonio e aveva intrattenuto una fitta corrispondenza con Messina Denaro, alias Alessio. Forse bastava seguire la trac cia degli pseudonimi (altra grande passione): nei pizzini trovati nel covo di Provenzano si firmava "suo nipote Alessio".