Martedì 23 Aprile 2024

Mattarella in campo L’ultima chiamata per una soluzione Ma il premier tira diritto

Draghi avrebbe voluto ufficializzare la rinuncia già ieri sera. Dal Quirinale la richiesta del passaggio alla Camera. Poi Palazzo Chigi conferma: oggi l’addio. Cosa farà ora il Colle

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di Pier Francesco

De Robertis

Alle nove di sera arriva la notizia che cambia un po’ una delle giornate più convulse della storia della politica italiana, iniziata con un lieve venticello di bonaccia, e finita con una tempesta. La notizia è che Mario Draghi non è salito al Quirinale dopo il voto di fiducia al Senato, come tutti pronosticavano, e come lo stesso palazzo Chigi aveva fatto filtrare, ma ci andrà oggi (niente di ancora ufficiale, ma è più che probabile). Ieri verso le 21 si è sparsa anche la notizia – non confermata – di una salita di Draghi al Colle "in incognito", non resa cioè nota dai diretti interessati. Il premier avrebbe fatto presente al Capo dello stato la volontà di dimettersi subito, e Mattarella gli avrebbe chiesto di aspettare e di andare stamani alla Camera. In ogni caso un’interlocuzione tra i due dopo il voto del Senato c’è stata, poco importa se diretta, per telefono o per interposta persona, e l’esito sarebbe stato questo. Il premier avrebbe ascoltato il Capo dello stato, tutto sommato poco convinto. La decisione di lasciare dopo il voto in Senato, forse presa anche prima della giornata di ieri, non poteva esser messa in discussione. Tant’è che mentre nei corridoi dei palazzi e dei giornali andava diffondendosi la voce secondo cui ci sarebbe potuto essere un ultimo disperato tentativo stamani alla Camera (sono giorni che escono voci di ogni tipo), alle 21 e 30 è uscita un’agenzia in base alla quale, "secondo fonti di governo" il premier si dimetterà stamani alla Camera, alle 9, prima di iniziare il dibattito. Un modo come un altro per mettere un punto, e che comunque testimonia un certo tipo di braccio di ferro tra palazzo Chigi e il Quirinale.

In ogni caso, la giornata di ieri è arrivata dopo una settimana in cui il Quirinale era stato al centro dei giochi. Con la discrezione dovuta, sempre restando nei limiti che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica, certo Mattarella non è rimasto inoperoso e passivo di fronte alla crisi che stava arrivando. La richiesta da parte del Quirinale di non formalizzare la crisi ieri sera (se in effetti c’è stata) evidenzia anche la volontà del presidente della Repubblica di osservare in pieno la prassi parlamentare e la prassi costituzionale. Come d’altra parte il Colle ha fatto dall’inizio, esercitando la sua moral suasion in maniera discreta, ma non per questo meno efficace. L’esito della crisi, per centi versi imprevisto almeno una decina di giorni fa, ha infatti colpito molto il presidente, che viene descritto come "deluso" e "preoccupato". Il governo Draghi era stato in un certo senso una sua "creatura", ovviamente per quanto la Costituzione consenta al Presidente della repubblica, e Mattarella non si era dimenticato che l’arrivo dell’ex presidente della Bce era stato agevolato da una sua iniziativa, dopo che tutti gli altri tentativi per trovare un successore al Conte II erano andati falliti. Il patatrac di questi giorni, e lo scivolamento inevitabile verso le elezioni anticipate (anche se solo di qualche mese) non lo hanno fatto certo felice. La disponibilità da lui mostrata a febbraio, quando si era reso disponibile a un secondo mandato nonostante avesse ormai già fatto gli scatoloni e altri programmi di vita, non ha trovato analogo senso di responsabilità negli partiti.

A questo punto, se stamani Draghi si dimetterà come pare ormai certo, prenderà avvio il percorso che porterà il Paese alle elezioni politiche. Per Mattarella si tratta della seconda volta, anche nel caso precedente le elezioni si erano tenute alla scadenza naturale del mandato (2018). Le previsioni è che tutto sarà abbastanza veloce. Dovrà ascoltare i presidente della camere (articolo 88 della Costituzione) e poi firmare il decreto. Sarà poi il governo a determinare la data dei comizi elettorali, che devono tenersi entro 70 giorni.