Crisi di Governo: Mattarella dà due settimane a Conte. Riparte la caccia ai volenterosi

Al Colle "incontro interlocutorio". Ora l’obiettivo di Conte è che i nuovi arrivati diano vita a un vero gruppo parlamentare

Il voto di fiducia a Conte alla Camera e al Senato

Il voto di fiducia a Conte alla Camera e al Senato

Non è un mistero che Mattarella avrebbe voluto evitare ad ogni costo la crisi, proprio per tenere al riparo Conte dalla situazione difficilissima in cui si trova oggi. Ma oramai è fatta: inutile piangere sul latte versato, bisogna mettere a punto una rotta per andare avanti nella tempesta. Ufficialmente, il capo dello Stato vuole solo sapere cosa abbia in mente il premier. Per questo, ieri sera dopo l’incontro non ha voluto che dal suo entourage filtrasse alcunché. È probabile invece che qualcosa abbia chiesto, qualcosa abbia consigliato: il termine "interlocutorio" con cui il Colle definisce il colloquio fa capire non solo che ce ne saranno altri, ma pure che mette "sotto tutela" il suo ospite, ovvero che verificherà passo per passo se alle parole seguiranno i fatti. Altrimenti dovrà trarne le conseguenze: fuor di metafora, dovrà gettar la spugna. L’urgenza principale è ovvia. Il capo dello Stato non può che concordare con l’intenzione espressa dal premier di allargare il prima possibile la maggioranza conquistando nuovi voti. Semmai il presidente può aver chiarito che i tempi non sono illimitati, l’operazione va conclusa rapidamente. Qualche settimana, un mese al massimo. È altrettanto probabile che l’inquilino del Quirinale abbia anche segnalato l’importanza di garantire autonomia nei voti a maggioranza qualificata: quelli dell’opposizione devono essere aggiuntivi. Questo pomeriggio alle cinque riceverà i leader del centrodestra, ed è consapevole che protesteranno contro il governo di minoranza, ma è una pallottola a salve. I governi di minoranza sono perfettamente costituzionali e nessuno lo sa meglio di un attento guardiano della Carta come Sergio Mattarella, nella storia della Repubblica ce ne sono stati a mucchi. Ultimo proprio quello di Silvio Berlusconi nel 2010. Ma la destra batterà anche sulla nota ben più dolente dell’assenza di maggioranza qualificata. Infine è necessario che i senatori usciti allo scoperto nel voto di fiducia e quelli che eventualmente li raggiungeranno si ricompattino in un gruppo parlamentare. Non è possibile dover trattare di volta in volta con una quantità di senatori sparsi. Anche perché non si risolverebbe il problema delle commissioni. Quello che rischia di rendere il percorso del governo "un Vietnam" non sono infatti gli scontri frontali o i voti di fiducia: da quel punto di vista il rischio è limitato sia perché spesso si tratterà di questioni essenziali che nessuno oserebbe bocciare sia perché la paura delle elezioni anticipate spingerà molti ad assenze strategiche. Le cose cambieranno con l’avvicinarsi del semestre bianco, ma per il momento anche su quel fronte non ci sono grandi paure.

La giungla è invece quella delle commissioni, delle giunte, della conferenza dei capigruppo, dei voti meno clamorosi. Il primo assaggio si avrà presto: il 27 il ministro Bonafede presenterà la sua relazione sulla giustizia e il Senato potrebbe votarla subito dopo, a decidere sarà la conferenza dei capigruppo. Se Palazzo Madama dovesse esprimersi ora, la sconfitta sarebbe certa. Ecco perchè la giostra dei possibili volenterosi gira più vorticosamente che mai. Da Palazzo Chigi partono voci incontrollate su possibili gruppi in 48-72 ore con 5 senatori di Forza Italia (secondo altre fonti 2), 2 di Iv – e in effetti ieri Comincini e Grimani hanno notificato l’indisponibilità a una opposizione dura – e poi chissà. Vero? Falso? Si scoprirà presto, ma un governo di minoranza o anche di maggioranza piena però ridotta all’osso secondo il Colle può procedere e operare solo in un contesto ambientale adatto, dunque muovendosi accortamente. Significa in concreto una cosa: aprire un dialogo, non solo a parole, almeno con una parte dell’opposizione, quella europeista, insomma con Fi e Iv, per impedire che si saldi un blocco paralizzante di oppositori ostili. Non è escluso che questo Mattarella abbia consigliato ieri a Giuseppe Conte. Finora il premier ha respinto nella sostanza se non nella forma i suggerimenti partiti spesso anche dal Colle sull’opportunità di aprire canali di comunicazione reale con l’opposizione. Forse lo farà ancora, forse no: ma la situazione è cambiata e nonostante la paura di far esplodere il formicaio M5s, Conte potrebbe provarci davvero.