Martedì 16 Aprile 2024

Massimiliano, video-accusa all’Italia "Perché non ho potuto morire qui?"

Si è spento il 44enne malato di sclerosi accompagnato in Svizzera dall’Associazione Coscioni. Il suo è un testamento politico: "Volevo avere i miei cari vicino, ma chi fa le leggi si volta dall’altra parte"

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di Maria Nudi

FIRENZE

Massimiliano, toscano, 44 anni, malato di sclerosi multipla, la settimana scorsa aveva rivelato con un video su YouTube che sarebbe andato via dall’Italia per lasciarsi morire. Suicidio assistito si chiama. Mostrandosi in volto, insieme al padre Bruno, ma senza dire di dove fosse, aveva affidato il suo messaggio al web: "Voglio morire in Italia, accanto alla mia famiglia e ai miei amici. Sì, in Italia, nel mio Paese". Ma sapeva che non gli sarebbe stato possibile finire i suoi giorni qui. Così ieri, nel giorno dell’Immacolata Concezione, Massimiliano è morto in una clinica svizzera dove già da tempo, in realtà, aveva deciso di farsi portare. Lo hanno accompagnato il padre e due volontarie dell’associazione Luca Coscioni, che da anni è tra gli enti portavoce di chi chiede il suicidio assistito.

"Ormai la mia vita è finita, non ci sono cure – ci aveva detto pochi giorni fa –. Non posso più fare ciò che amavo fare. Non ho più la manualità. Facevo il riparatore, suonavo la chitarra: tutto mi è diventato impossibile. Voglio farla finita e vorrei farlo qui in Italia, dove però non esiste una legge che disciplini il così detto ’fine vita’. Nessuna struttura può accogliermi per aiutare a morire. Ma io ho deciso. Finalmente ho raggiunto il mio sogno. Peccato che non l’ho raggiunto in Italia, ma mi tocca andare all’estero. Perché non posso farlo qui in Italia? A casa mia, anche in un ospedale, con i parenti, gli amici vicino. "No, devo andarmene in Svizzera. Non mi sembra una cosa logica questa". Lunedì scorso Massimiliano aveva lanciato via Internet il video per raccontare la sua storia e la sua condanna, sancita da una malattia degenerativa. Sei anni fa venne intrappolato dalla sclerosi che inesorabilmente, giorno dopo giorno, gli aveva tolto il quotidiano e il futuro. Da qui la sua decisione di farla finita ricorrendo al suicidio assistito in Svizzera, dopo essersi rivolto all’associazione Luca Coscioni poco più di un anno fa.

Nel Paese elvetico è stato accompagnato dal padre Bruno, come detto, oltre che da Felicetta Maltese, 71 anni, attivista della Coscioni, e da Chiara Lalli, giornalista e bioeticista. "Il mio corpo non può più essere aggiustato – aveva detto nel video –, il mio passato di manutentore non ha prospettive". Il papà aveva aggiunto: "È una sofferenza continua, giorno dopo giorno. È un suo volere, il corpo è suo, lo sente lui cosa soffre. E noi non possiamo dire di no: sarebbe solo egoismo, per farlo soffrire ancora di più". Il messaggio-appello alla politica è arrivato quando Massimiliano aveva già deciso che avrebbe varcato il confine, dov’è arrivato con un’auto a noleggio. Oggi Marco Cappato, presidente di Soccorso civile – la costola dell’associazione Coscioni che porta avanti la battaglia sul fine vite – si autodenuncerà ai carabinieri della la stazione di Firenze Santa Maria Novella. "Apprendo la notizia della morte di Massimiliano in Svizzera con estrema amarezza – commenta Mina Welby, copresidente dell’associazione Coscioni –. Ho provato una tristezza infinita perché ancora oggi il nostro Paese non consente a tutti una morte dignitosa. Siamo davanti a una situazione che deve essere risolta con un intervento legislativo". Sui malati come Massimiliano "oggi la politica si volge dall’altro lato – dice l’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni –. Fa finta che queste richieste non esistano. Lo abbiamo visto anche con Massimiliano. Non c’è stata nessuna presa di atto rispetto al suo appello. Almeno potevano rispondere, dire che non è una una priorità di questa legislatura".

"Nel nostro Paese chi vuole scegliere di porre fine alle proprie sofferenze può farlo – ricorda Gallo –, senza incorrere in un reato, in base a un quadro con determinati requisiti" e tra questi quello che un malato sia sottoposto a trattamenti di sostegno vitale: "Massimiliano era malato con una patologia irreversibile, aveva piena capacità di autodeterminarsi, e la sua malattia gli produceva sofferenze, ma era privo di sostegno vitale. Era su questa strada, ma non avendo questa condizione oggi non poteva accedere all’aiuto al suicidio".