
Nicolò Maja
Nicolò Maja ha mostrato al padre, seduto sul banco degli imputati, la sua t-shirt con stampati i volti sorridenti della mamma Stefania Pivetta e della sorella Giulia, di 16 anni. L’uomo che la notte fra il 3 e il 4 maggio dell’anno scorso le ha massacrate a colpi di trapano e martello nella villetta di famiglia a Samarate (Varese), e ha ridotto in fin di vita il primogenito, unico sopravvissuto alla strage, ha reagito con il gesto di un bacio verso il 23enne. Poi si è chiuso nel silenzio, fino a quando il presidente della Corte d’Assise di Busto Arsizio Giuseppe Fazio (lo stesso magistrato autore delle discusse motivazioni sull’omicidio di Carol Maltesi) ha letto la sentenza che condanna l’interior designer all’ergastolo, con 18 mesi di isolamento diurno. "È il minimo – spiega Nicolò – anche se non ci sarà mai una giustizia che potrà riportare in vita mia mamma e mia sorella. Mi sento liberato, questa parte della mia vita si è conclusa e ora posso guardare avanti".
Dopo la lettura della sentenza il 23enne ha abbracciato il nonno, Giulio Pivetta, lo zio Mirko e altri parenti. "Non lo perdonerò mai – prosegue Nicolò – ma ho bisogno di capire e vorrei incontrare mio padre. Gli ho scritto chiedendogli le motivazioni del suo gesto. Ha risposto che i miei ragionamenti non fanno una piega ma non ha articolato una spiegazione che, probabilmente, nemmeno c’è".
Il 23enne, che sognava di diventare pilota d’aereo, sta seguendo un lungo percorso di riabilitazione e nei prossimi mesi affronterà l’intervento per la ricostruzione della calotta cranica. Per la prima volta si è presentato in aula senza sedia a rotelle, camminando a fatica ma in autonomia. Sogna una "vita normale", una battaglia che passa anche attraverso gesti simbolici: è entrato nello staff dirigenziale di una società sportiva, la Cedratese Calcio, presieduta dal suo legale, l’avvocato Stefano Bettinelli.
L’esclusione dell’aggravante della crudeltà, che scatta quando viene dimostrata la volontà di infliggere sofferenze aggiuntive, e il riconoscimento delle attenuanti generiche, non sono bastati per evitare la condanna chiesta dalla pm Martina Melita. Dovrà inoltre risarcire il figlio con 900mila euro per i danni fisici. Altri 800mila euro, per i danni morali, da dividere fra Nicolò e le altre parti civili, i nonni materni e lo zio. "Una sentenza equa", spiega l’avvocato Bettinelli. L’interior designer è rimasto all’apparenza impassibile. Il suo difensore, l’avvocato Gino Colombo, presenterà ricorso in appello, che potrebbe vertere sulla capacità di intendere e di volere dell’uomo quando ha massacrato la famiglia.