Massacrata dall’ex, la famiglia di Alessandra: "Andava protetta". Arrivano gli ispettori

Bologna, dopo la denuncia della donna non erano scattate misure contro di lui. Il procuratore: "Nessuna malagiustizia". Il ministro: "Subito verifiche"

Alessandra Matteuzzi, uccisa a Bologna dall'ex che la perseguitava

Alessandra Matteuzzi, uccisa a Bologna dall'ex che la perseguitava

In via dell’Arcoveggio, gli amici di Sandra lasciano bigliettini e fiori. In Procura, si aspettano gli ispettori del ministero, inviati per accertare che tutto il possibile sia stato fatto per salvare la vita di Alessandra Matteuzzi, la cinquantaseienne assassinata a martellate sotto casa dall’ex compagno, Giovanni Padovani, calciatore e modello di 26 anni. Così la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto agli uffici dell’Ispettorato di "svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando, all’esito, valutazioni e proposte", inizativa presa anche a fronte delle ricostruzioni di stampa sul femminicidio.

Alessandra, per tutti Sandra, il 29 luglio infatti aveva denunciato l’ex fidanzato, che la perseguitava. "Il fascicolo è stato aperto il primo agosto e i carabinieri sono stati immediatamente incaricati di sentire la vittima e di monitorare costantemente, nei limiti del fisiologico, la situazione": respinge con decisione le accuse di ’malagiustizia’ rivolte agli inquirenti nelle ore successive all’omicidio il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato. "Se l’informativa non è stata chiusa prima è stato soltanto perché alcuni testimoni indicati dalla querelante non potevano essere sentiti perché in ferie. Loro, non noi – prosegue il procuratore –. La Procura e la Pg hanno fatto tutto il possibile, anche considerando che questo fatto drammatico era imprevedibile: la denuncia parlava solo di stalking molesto, mai di violenze, secondo i nostri protocolli non era d’urgenza tale da richiedere un intervento immediato". E il braccialetto elettronico non sarebbe stato una soluzione praticabile: "È una misura accessoria agli arresti domiciliari, per prevederla come misura a sé servirebbe un intervento del legislatore. Inoltre, è uno strumento costoso e non sempre la disponibilità è commisurata alle esigenze", sottolinea. Ma se le indagini fossero finite in tempo, sarebbe stato chiesto il carcere per Padovani? "Era incensurato, una richiesta di misura cautelare personale sarebbe dovuta essere motivata, provando che tutte le altre erano inidonee. Una soluzione non ragionevole", riflette il procuratore.

Ma per la famiglia di Sandra, così provata da un dolore che spezza il fiato, altro si poteva fare. Si doveva fare. Lo dice la cugina della vittima, l’avvocato modenese Sonia Bartolini, che ieri mattina era nella casa in via dell’Arcoveggio, prima periferia di Bologna: "Quello che è successo non è stato affatto un fulmine a ciel sereno perché c’erano stati segnali precedenti, tanto è vero che c’era stata una denuncia. Il problema è nelle falle normative. Se viene sporta una denuncia per atti persecutori e nel contempo non c’è una protezione, continueranno i femminicidi". Lo ribadisce il nipote, Matteo Perini, che non si dà pace: "Mia zia era una persona di cuore e non si meritava questo, spero che l’episodio serva a cambiare le cose. Mi aspetto che lui marcisca in galera, ma che non paghi una persona sola, altrimenti succederà di nuovo".

Chi invece resta indifferente, quasi estraneo al mondo di emozioni che gli turbina attorno, è proprio l’assassino di Sandra. Il suo ex. Che, alla Dozza, passa giorni senza una lacrima, un cedimento. Dall’arrivo in carcere, mercoledì mattina, ha trascorso il tempo nella sezione nuovi giunti. Ha mangiato con loro, tranquillo come nulla fosse. A chi si ferma a parlare con lui, racconta del suo rapporto con Sandra al presente. Come se lei non lo avesse mai lasciato, come se la sua ossessione facesse parte di un gioco tra innamorati: "Non ci siamo lasciati, stavamo insieme. Ci vedevamo poco solo perché vivevamo distanti", racconta. Sa di averla uccisa, ha subito confessato. Ma nei suoi gesti nulla fa trapelare un’emozione, un rimorso. A Senigallia c’è la mamma, chiusa in casa. "Lasciatemi in pace, non parlo", urla soltanto dalla finestra. In quell’abitazione Padovani ha trascorso la sua ultima notte da uomo libero. Poi, nell’ex officina del nonno, ha afferrato un martello ed è partito in auto per Bologna. Ed è diventato un assassino.