Svolta sul Covid: viaggio al Sacco, l'ospedale in trincea. "Qui non abbassiamo le difese"

Le mascherine erano obbligatorie anche prima della pandemia. Da oggi reintegrati 26 operatori (su 5mila)

Milano, 1 novembre 2022 - Sul tram che affronta il ponte a scavalco dell’autostrada, ultimo miglio di periferia nord-ovest milanese prima del capolinea di Roserio, saremo una trentina e la mascherina l’abbiamo in quattro, contando anche un ragazzo che la porta sotto il naso. D’altra parte già da un mese coprirsi naso e bocca a bordo dei mezzi pubblici non è più obbligatorio, ma quando poi si scende, davanti all’ingresso pedonale dell’ospedale Luigi Sacco, il panorama cambia. E viene l’istinto di rialzarla, la mascherina, incontrando qualcuno che la indossa perfino sul marciapiede, fuori dal sedime ospedaliero.

Il Sacco è un ospedale nato negli anni ‘30 del Novecento come sanatorio, una struttura a padiglioni (considerata vetusta finché non è stata riscoperta per le potenzialità d’isolamento durante la pandemia) immersa in un gigantesco parco: a volte gli operatori usano l’auto per muoversi da un reparto all’altro, c’è una navetta interna per pazienti e visitatori. All’ingresso del parco ci sono ancora i tornelli fissi, "avvicinare la fronte o il polso" al sensore per misurare la temperatura. Doppio bip, "vada pure" dice la guardia con la mascherina al collo, anche se siamo all’aperto. Nella sala d’attesa del pronto soccorso, un fabbricato nuovo costruito per l’Expo del 2015, ci sono una quindicina di persone e l’unica faccia visibile è di un signore che si scosta la mascherina giusto il tempo di bere dalla bottiglietta.

L'ospedale Sacco di Milano, da subito trincea della lotta al Covid
L'ospedale Sacco di Milano, da subito trincea della lotta al Covid

Anche nei poliambulatori la indossano tutti, comprese le persone in coda alle casse. Su un vetro all’ingresso del padiglione 5 è rimasto un vecchio volantino: "In questo spazio all’aperto è obbligatorio indossare la mascherina". Un reperto che fa riferimento a un’ordinanza del ministero della Salute del giugno 2021, che eliminava – solo in zona bianca – il divieto di girare all’aria aperta senza mascherina, "fatta eccezione" per le situazioni d’assembramento, "gli spazi all’aperto delle strutture sanitarie" e in presenza di persone con un sistema immunitario compromesso. Sembrano passati secoli , eppure in quest’ultimo pomeriggio d’ottobre, mentre un nuovo Consiglio dei ministri ha deciso di tenere le ultime mascherine obbligatorie sopravvissute negli spazi interni di ospedali e Rsa, lungo i vialetti del Sacco non è raro incontrare lavoratori o pazienti che continuano a indossarle anche all’aperto.

"I vostri sacrifici saranno sempre ricordati", si legge su uno striscione firmato "I tassisti milanesi". Perché il Sacco, l’ospedale degli Infettivi, centro di riferimento nel Nord Italia per le attività sanitarie legate al rischio biologico di episodi infettivi naturali o provocati (bioterrorismo), è stato la prima linea del Covid sin dalla notte del 20 febbraio 2020, quando arrivarono qui i primi intubati da Codogno.

E di malati gravi e gravissimi per il Coronavirus, nelle fasi più dure, è arrivato a ricoverarne fino a 400, "occupavano il 70-80% dell’ospedale", ricorda Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento di Malattie infettive del Sacco. È uno degli esperti della cabina di regìa riunita ieri dalla vice presidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia, Letizia Moratti, dalla quale è uscita la "forte raccomandazione di mantenere l’utilizzo dei dispositivi di protezione – mascherine almeno chirurgiche – nelle strutture sanitarie". Qualche ora più tardi, il governo ha deciso di prorogare l’obbligo per lavoratori, utenti e visitatori fino al 31 dicembre.

"Una norma di buon senso per se stessi e soprattutto per le persone più fragili che quando vengono in ospedale chiedono di essere tutelate", osserva Rizzardini. Nel suo reparto le protezioni si usavano anche prima della pandemia ("Durante la prima ondata nessuno di noi si è infettato"), ma "è un gesto al quale ormai tutti si sono abituati, che ha dimostrato la sua efficacia non solo contro il Covid ma anche contro altri patogeni che possono essere pericolosi per alcuni pazienti, come l’influenza. È grazie ai dispositivi di protezione e ai vaccini che siamo arrivati a una situazione totalmente diversa. Oggi vediamo pazienti meno gravi anche se qualche caso impegnativo continuiamo ad averlo: il Covid non è finito".

Sui vaccini, il governo ha deciso invece di anticipare a subito il reintegro dei sanitari sospesi perché rifiutano l’iniezione contro il Coronavirus. Non cambierà moltissimo per gli organici di Roserio: su circa cinquemila dipendenti dell’azienda sanitaria (Asst) che comprende oltre al Sacco altri tre ospedali (il Fatebenefratelli, il pediatrico Buzzi e il materno-infantile Macedonio Melloni) più i servizi sanitari territoriali di cinque dei nove municipi di Milano, rientreranno in tutto in 26. La metà infermieri (13), sette operatori socio-sanitari, un tecnico della riabilitazione, due tecnici di laboratorio, due amministrativi. Un solo medico.