Martina, il lungo calvario è finito Non fu suicidio: volevano stuprarla

Nel 2011 volò dal balcone dell’albergo mentre fuggiva. La Cassazione conferma le condanne dei due amici

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di Salvatore Mannino

Stavolta è finita davvero. Alle nove della sera del verdetto col quale la quarta sezione della Cassazione dice una volta per tutte che Martina Rossi, la studentessa genovese la cui morte in Spagna il 3 agosto 2011 è diventato un caso mediatico di prima grandezza nazionale, fu vittima di un tentativo di violenza sessuale per sfuggire al quale precipitò da sesto piano di un grande albergo di Palma di Maiorca. Il tutto fra le lacrime dei genitori della ragazza, Bruno Rossi e Franca Murialdo, protagonisti di una battaglia giudiziaria che è andata avanti per dieci anni, due mesi e qualche giorno, nel gelo delle difese (per quest’ultimo atto era entrato in scena il principe dei principi del foro Franco Coppi) di Alessandro Albertoni, campione di motocross, il bello della situazione, e Luca Vanneschi, piccolo artigiano, assai più impacciato. Entrambi di Castiglion Fibocchi, alle porte di Arezzo.

I giudici chiudono una storia infinita con la più netta della sentenze: ricorso nemmeno respinto ma dichiarato inammissibile. Il che significa che tutte le schermaglie sulla prescrizione, che sarebbe scattata il 16 ottobre, si sono rivelate inutili, L’estinzione del reato non sarebbe scattata comunque: l’inammissibilità riporta il processo al verdetto d’appello. E su quello non c’erano dubbi che fosse stato pronunciato in tempo utile, il 29 aprile. Solo l’ultimo asso nella manica del professor Coppi avrebbe potuto salvare i due ragazzi aretini: la derubricazione della tentata violenza sessuale di gruppo in tentato stupro individuale, quello sì prescritto. Ma la corte non ha ceduto neppure al fascino di un avvocato abituato alle grandi assoluzioni. Non stavolta.

La prima reazione a caldo, pochi attimi dopo che il presidente ha letto il dispositivo, in un Palazzaccio in cui ancora risuonano gli slogan della manifestazione del mattino in favore della condanna ("Non è stato un suicidio, è stata una violenza") è di babbo Bruno, antico sindacalista dei camalli, i portuali genovesi, che con la moglie è riuscito a fare di una storia di cronaca ormai lontana nel tempo una tempesta mediatica capace di riempire le prime pagine e i titoli di testa dei Tg: "Non ci deve essere più nessuno che possa permettersi di fare del male a una donna e passarla liscia. Ora posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c’è più ma anche soddisfatto perché è stata fatta giustizia".

La maratona in Cassazione (dieci ore fra dibattimento, camera di consiglio e verdetto) era comincata con la relazione del giudice consigliere e poi con la requisitoria del sostituto procuratore generale Elisabetta Cennicola, che non solo aveva chiesto la conferma della condanna a tre anni (quanto resta della sentenza del tribunale di Arezzo dopo la prescrizione della morte come conseguenza di altro reato, che aveva inizialmente portato il totale a sei) ma aveva puntato decisamente sulla configurabilità della tentata violenza sessuale di gruppo, naturalmente ribadendo che non di suicidio si era trattato ma di uno stupro mancato, per sfuggire al quale Martina provò a scavalcare verso l’ altro balcone, perdendo l’equilibrio e volando giù.

Scenario che Coppi non ha provato a negare. Si è concentrato piuttosto su due elementi: bastano due protagonisti a trasformare una violenza individuale in una di gruppo o ce ne vogliono almeno tre? E anche nel caso in cui fosse stato il suo cliente, Albertoni, il vero responsabile materiale dell’aggressione sessuale, l’amico Luca sarebbe stato concorrente nel reato, rafforzandone il proposito, oppure semplice connivente, come il passante che assiste per strada e non interviene? Questioni giuridiche sottili, ma tutte dirette alla derubricazione e quindi alla prescrizione.

Neppure le magie del professore, però, hanno convinto la quarta sezione. E mentre a Castiglion Fibocchi cala un silenzio pesante su due ragazzi che quasi mai hanno accettato di parlare, fuori dal Palazzaccio anche la mamma di Martina si abbandona: "Finalmente la verità".