"MacronLe Pen, duello su un campo di rovine", titola Le Monde. Il giorno dopo il voto al primo turno delle presidenziali, il paesaggio politico appare devastato: i partiti tradizionali (gollisti, socialisti, comunisti) sono stati spazzati via. Un terzo incomodo è salito con prepotenza sul palcoscenico, il leader dell’ultra gauche Jean-Luc Mélenchon, oggi il vero arbitro dei giochi: l’esito finale, più che mai incerto, dipenderà proprio dalle scelte che faranno i suoi seguaci. In apparenza Emmanuel Macron sembra avvantaggiato: ha 4 punti più di Marine Le Pen e ha sventato il pericolo del sorpasso. Con il 27,8% dei suffragi (9 milioni 785 mila voti) si trova in pole position, confortato anche dal fatto di aver migliorato il risultato precedente: nel 2017, anno del trionfo, aveva avuto un milione di voti in meno rispetto a quelli di domenica. Il suo problema però è il fatto di non disporre di un grande serbatoio di voti cui attingere, dal momento che la destra dei Républicains è dissanguata. Marine Le Pen invece può contare sull’appoggio di Zemmour, dei dissenzienti in seno ai Républicains e in generale di tutti coloro – e non sono pochi – che si ritengono penalizzati dalla politica di Macron in cinque anni di Eliseo. Basti pensare che una buona fetta della France Insoumise, il 30% dei seguaci di Mélenchon, voterà Le Pen, mentre il 34% sceglierà Macron e il 36% diserterà le urne. Per Marine la prova di domenica ha rappresentato un successo personale: con il 23,1%, pari a 8 milioni e 136 mila voti, ha registrato non solo un risultato migliore di quello del 2017 (21%, 7 milioni 659 mila voti), ma anche lo score più alto dell’estrema destra negli ultimi vent’anni. Tre partiti – République en Marche, Rassemblement National e France Insoumise – totalizzano il 75% dei voti. Due, quelli di Mélenchon ...
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