Maradona, le lacrime di Napoli nei vicoli: "Che ci frega del Covid, è morto uno di noi"

Dai Quartieri Spagnoli al Rione Sanità la folla in strada nonostante la zona rossa. Migliaia di lumini sotto le foto e i murales di Diego. Con la maglia azzurra Maradona conquistò due scudetti e anche il cuore della città. Il sindaco: "Lo stadio va intitolato a lui"

Napoli piange Maradona: tifosi fuori dalla stadio San Paolo (Ansa)

Napoli piange Maradona: tifosi fuori dalla stadio San Paolo (Ansa)

Solo quando qualcuno accende un lumino e depone un mazzo di fiori davanti all’enorme murales di Jorit Agoch, nel Bronx di San Giovanni a Teduccio, ci si arrende. È morto davvero, è la verità. Maradona, il mito invincibile, il Braveheart del pallone, non c’è più. A Napoli è come se fosse scomparso uno di famiglia, lo zio che viveva in casa, le cui gesta diventano epopee da raccontare ai figli e ai nipotini, increduli a bocca aperta, sedotti dalla leggenda. "Non ci potrà mai essere un altro Maradona. Forse a livello calcistico potrebbe succedere, ma per me sarà sempre Diego il migliore. Tuttavia un leader politico come lui, un uomo con una centralità unica, di un magnetismo paralizzante e ultraterreno, non potrà rinascere", spiega con esattezza geometrica Venio Vanni, giornalista sociologo che scrive sul "Napolista", il più maradoniano dei fogli di calcio. Dai Quartieri Spagnoli al Rione Sanità, dal Pallonetto di Santa Lucia al Rione Traiano, da Miano al Conocal, dal Vasto a Ponticelli, si preparano manifestazioni pubbliche di cordoglio che andranno oltre le righe e oltre i divieti Covid imposti dal governatore De Luca. "Ce ne fotte du lockdown, è muort o’ pibe, è muort o’ pibe. Vicienz non lo può capire, è salernitano". Il Dios Umano sopravvive, risorge nei vicoli della Ferrovia, dove di colpo le bancarelle si riempiono di magliette, mentre scatta il coprifuoco in un cielo che non è più azzurro. Sono le casacche ‘storiche’ con il numero 10, e la scritta Buitoni sul petto. "Accadde alla fine del campionato 1986-87, è l’anno in cui si sconquassarono gli equilibri del calcio italiano, è l’anno dello scudetto del Napoli", spiega l’antropologo Marino Niola.

Non è un caso che negli anni in cui Diego Armando fa il doppio miracolo di regalare al Napoli due scudetti, la sua immagine troneggia nei vicoli accanto a quella di San Gennaro, il santo patrono. E va a ruba un poster con il busto di San Gennaro e la faccia del campione argentino. Un ibrido mitologico ribattezzato San "Gennarmando". E che il legame fosse diventato una fede intrisa di pagana scaramanzia lo testimonia anche De Crescenzo-Bellavista: "San Genna’, non ti crucciare, tu lo sai ti voglio bene. Ma ‘na finta ‘e Maradona squaglia ‘o sanghe dint’ ‘e vvene!".

Napoli è attonita, sotto choc. L’amore per Diego, iniziato il 5 luglio 1984 in un pomeriggio caldo allo stadio San Paolo, non si è mai spezzato. "Ci capiva perché era povero come noi – dice un capotifoso della curva A –, era sfrontato come noi, era generoso come noi, ma anche debole e triste, proprio come noi". "Fate le condoglianze ai napoletani, oggi è morto uno di noi", twitta Anna Trieste, uno dei volti più noti delle tv locali che macinano calcio. Ma la società Calcio Napoli si limita a un laconico: "Per sempre. Ciao Diego". E un affronto al dolore dei napoletani e viene attaccata in maniera sanguinosa dagli aficionados del Pibe. A Forcella, il quartiere in cui Maradona è annegato nei fiumi di coca della famiglia Giuliano, si piange. "Domani non apro, sto chiuso per lutto", dice il parrucchiere Gino Hair. C’è un passaggio nel docu-film di Asif Kapadia in cui è proprio Diego a raccontare la discesa negli inferi della droga e l’incontro con il boss di Forcella. "Mi trovai a casa loro, a cena, al mio fianco c’era lui con la pistola. Sembrava una scena de ‘Gli intoccabili’".

Cala la notte su Napoli, dai Quartieri Spagnoli fino a Toledo, da Fuorigrotta fino alla Galleria della Vittoria è un crescendo di candele messe lungo la strada, quasi una traccia luminosa per accompagnare l’anima del "diez", a indicargli la strada verso le stelle. Anche lo stadio, il suo tempio, resta acceso tutta la notte e il sindaco Luigi de Magistris propone di intitolarlo a Diego (lunedì partirà l’iter), relegando in soffitta San Paolo di Tarso approdato ad evangelizzare Fuorigrotta. Un barista di fronte tira giù le serrande, poi si siede davanti all’ingresso e accende un proiettore che manda tutti i suoi gol. E’ come un "Nuovo Cinema Paradiso" che srotola non baci ma prodezze del Pibe, con la rete che si gonfia sulle gradinate esterne del San Paolo. Il Comune proclama il lutto cittadino. "Diego ha fatto sognare il nostro popolo, ha riscattato Napoli con la sua genialità. Nel 2017 era divenuto nostro cittadino onorario. Diego, napoletano e argentino, ci hai donato gioia e felicità! Napoli ti ama!", è l’epitaffio dell’ex interista de Magistris.