"Mani pulite? Fu una falsa rivoluzione"

Stefania Craxi e Michele Brambilla alla presentazione del libro di Filippo Facci. La senatrice FI: "L’inchiesta si rivelò un fallimento"

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di Massimiliano Mingoia

"Mani Pulite? Una falsa rivoluzione". Alla fine i giudizi dei relatori presenti, politici e giornalisti, collimano. Siamo nella Sala Pirelli del Pirellone, a Milano, al dibattito Mani Pulite, 30 anni dopo organizzato ieri pomeriggio dal capogruppo di FI in Regione Lombardia Gianluca Comazzi. Dietro al tavolo dei relatori ci sono la neopresidente della commissione Esteri del Senato Stefania Craxi, il direttore di Quotidiano Nazionale-il Resto del Carlino Michele Brambilla, il direttore di Libero Alessandro Sallusti e il giornalista e autore del libro La guerra dei trent’anni Filippo Facci. A dar fuoco alle polveri è la figlia dell’ex leader socialista Bettino Craxi, Stefania, che tornando al 1992, ai giorni di Tangentopoli e di Mani Pulite, parte da un paragone bellico ("c’era l’angoscia di trovarsi sotto un bombardamento") e riassume così i numeri dell’inchiesta che rese famoso l’allora pm Antonio Di Pietro: "Ventiduemila avvisi di garanzia, 3mila persone arrestate, 4mila processi a fronte di qualche centinaio di condanne. Insomma, un fallimento. Ma tante persone oneste hanno perso l’onore". Certo, la Craxi ammette che "i partiti arrivarono in ritardo all’appuntamento con la storia, non c’era stata la riforma istituzionale necessaria. Ma in tanti si misero al servizio di una falsa rivoluzione". È lei, la figlia di quello che Di Pietro, in privato, e molti giornali, pubblicamente, all’epoca ribattezzarono “il Cinghialone’’, a utilizzare per prima le parole "falsa rivoluzione". È sempre lei a virare sull’attualità politica: "La riforma Cartabia? Rischiamo di investire soldi in un sistema che non funziona. Mi appello ai cittadini: il 12 giugno andate a votare i referendum sulla giustizia".

Il direttore di Qn-il Resto del Carlino Michele Brambilla, invece, racconta la sua esperienza da cronista nel 1992, quando lavorava per il Corriere della Sera e la sera del 17 febbraio 1992 scrisse l’articolo sull’arresto di Mario Chiesa, il presidente del Pio Albergo Trivulzio colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire dall’imprenditore Luca Magni: "Ma dopo un anno – racconta Brambilla – chiesi al direttore Paolo Mieli di non seguire più l’inchiesta Mani Pulite, perché quella non era più semplice cronaca giudiziaria, c’era un pool di giornalisti tutti allineati su quello che diceva la Procura. I direttori dell’epoca sbagliarono a lasciare la narrazione di quanto accadeva solo ai cronisti di giudiziaria. Quelli erano anche fatti politici e di costume". Non solo. Brambilla aggiunge: "Ho lasciato quell’inchiesta perché era subentrata una corruzione ancor più grave di quella perseguita dai magistrati: la corruzione dell’animo di un popolo. Se le cose andavano male, era solo colpa dei politici. Ci fu un’autoassoluzione generale dei cittadini. I risultati elettorali del 2013 e del 2018 sono figli di quella stagione". Brambilla, naturalmente, si riferisce ai risultati in doppia cifra del M5s.

Il direttore di Libero Sallusti, intanto, torna sul passo indietro di Brambilla: "Me lo ricordo, lavoravo al Corriere. Il gesto di Brambilla non fu approvato dai colleghi, anzi fu schermito. Anch’io ci misi del tempo a capire che aveva ragione lui. Sono stato complice. Ma alla fine ho lasciato il Corriere perché non sopportavo più quel clima". Facci, infine, condanna la stagione giustizialista che "ha portato all’antipolitica, all’anticasta e al grillismo", ma propone un elemento di riflessione alla platea forzista: "L’antipolitica nasce anche a causa di Silvio Berlusconi: lui e le sue televisioni cavalcarono Mani Pulite. La guerra dei trent’anni non è ancora finita. A quella rivoluzione è seguito il nulla".