Giovedì 18 Aprile 2024

Manette e rabbia non insegnano il senso civico

Davide

Nitrosi

Trent’anni fa con Mani Pulite si è chiuso un capitolo della storia politica italiana che sarebbe terminato da solo (magari in modo meno traumatico), come conseguenza della fine dei blocchi Est-Ovest e della crisi del comunismo. È cambiato un assetto politico, ma non l’assetto culturale e profondo del sistema italiano.

La corruzione, al centro della rete di inchieste milanesi e poi di tante altre procure, non era il male circoscritto della Prima repubblica. Gli italiani lo hanno capito, dopo tanti anni. E sono passati da un opposto all’altro, dall’indignazione totale alla rassegnazione amorfa.

All’inizio l’ubriacatura provocata dal crollo del sistema era forse inevitabile. La rabbia verso i partiti, la gogna pubblica per i politici corrotti, le manette ostentate, la condanna elettorale di Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli, sono state reazioni di pancia, e non segnali di una trasformazione dell’identità italiana, tanto meno della nascita di un nuovo senso civico. Mani pulite non si è trasformata in una lezione in grado di cambiare la società. Perché non può essere l’azione penale – e tanto meno i lanci di monetine – a insegnare l’educazione civica a un Paese. Se non basta gridare onestà onesta per costruire uno Stato democratico e "onesto", non bastano neppure le condanne e le inchieste (seppure necessarie). È questa la realistica lezione da trarre. Il cittadino responsabile si educa a scuola, non nei tribunali. Lo spirito della democrazia si cementa curando le necrosi nelle istituzioni, senza però delegittimare queste istituzioni. Giustizia senza giustizialismo, altrimenti si rischia di scivolare volentieri nello squadrismo.