Martedì 16 Aprile 2024

Manduria, Antonio Stano lasciato solo anche al funerale

Appena 50 persone alle esequie dell’uomo perseguitato e ucciso dal baby branco

La bara con la salma di Stano accompagnata soltanto dagli addetti delle onoranze funebri

Una cinquantina di persone ha partecipato ai funerali in forma privata di Antonio Stano, il 66enne pensionato che aveva subito una serie di aggressioni e violenze da parte di un gruppo di giovani ed è morto il 23 aprile scorso dopo essere stato sottoposto a due interventi chirurgici per suturare una perforazione gastrica e per una emorragia intestinale, Manduria (Taranto), 29 aprile 2019.

MANDURIA (Taranto), 30 aprile 2019 - Solo in vita e nella morte. I parenti di Antonio Cosimo Stano, il sessantaseienne morto il 23 aprile a Manduria, in provincia di Taranto lo hanno lasciato abbandonato a se stesso e alle angherie del branco quando era vivo, e lo hanno recluso al mondo nel suo ultimo viaggio, cambiando all’improvviso il luogo delle esequie. Solo cinquanta persone hanno potuto partecipare al funerale. Come se ci fosse la volontà di chiudere ‘la pratica’ il più velocemente possibile e far spegnere i riflettori su questa tragedia umana. Ma, forse, non ce ne sarebbero state molte più di persone. «Siamo un mondo di morti. Ci conosciamo tutti qui a Manduria, ma non ci salutiamo», ha commentato Lorenzo, un conoscente che avrebbe voluto partecipare alle esequie. E lui, Antonio lu pacciu, certo non veniva salutato da nessuno. Figurarsi se poteva essere aiutato. Nemmeno quando le sue urla squarciavano le sere di via San Gregorio Magno. Nessuno è uscito dalle abitazioni vicine per soccorrerlo. Per scacciare quelle belve che si divertivano a picchiare, terrorizzare e derubare Antonio, colpevole di essere solo e forse un po’ strano. «Tutti facevano così con lui», si sarebbe giustificato uno dei quattordici ragazzi (ben 12 minorenni) del branco che per mesi, se non anni, ha bullizzato l’anziano. Perché non farlo, quindi? Perché non divertirsi vedendolo spaventato e rinchiuso in se stesso. Debole.

Spedizioni che si ripetevano frequentemente, filmate coi telefonini e poi diffuse via social per riderci su. Tornavano spesso a tormentarlo, a trascinarlo in strada, fino a quando alla fine di marzo antonio ha deciso di chiudersi a quel mondo così cattivo. Ha serrato il portone di casa, non è più uscito, non ha più mangiato. si è lasciato morire. «Nel silenzio assordante di tutti», ha commentato il prefetto vittorio saladino. «Quando è arrivato in ospedale – ha ricordato uno dei medici – era in condizioni disperate: denutrito, disidratato». «Quando sono andato a trovarlo – racconta dario, l’unico amico di antonio – ho capito che non voleva più vivere. Non mi ha mai detto nulla delle angherie che subiva. era una persona riservata e orgogliosa». Anche i familiari non sapevano nulla, dicono. «Non abbiamo sensi di colpi. nessuno immaginava», ha riferito il cugino Roberto.

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Una tragedia della solitudine e dell’abbandono. Della cattiveria. Ora alcuni dei ragazzini, chiusi a loro volta nelle proprie case, piagnucolano che «non lo volevamo mica morto, era solo per ridere». «Questo dolore riguarda tutti – ha detto don dario – dobbiamo scuoterci». Ma per antonio è tardi. «Chi sapeva doveva parlare, stano sarebbe ancora vivo. si parla di bravate, ma queste sono bravate criminali. chiederemo pene esemplari» ha sottolineato il procuratore capo capristo. Intanto ieri dal vertice dei magistrati è emerso un quadro più chiaro delle responsabilità di ciascuno dei 14 ragazzi indagati. C’è attesa per gli esami istologici coi quali i magistrati potrebbero, anche in parte, stabilire il nesso di causalità tra violenze e decesso. Il procuratore non esclude misure cautelari per qualcuno.