"Manca il personale". E la metro non parte Nello scandalo Roma c’è l’agonia dell’Italia

Permessi e certificati, la linea C resta chiusa per cinque ore. Navette e bus presi d’assalto dai passeggeri infuriati. Tra carenze d’organico e scioperi bianchi, il calvario dei trasporti è la metafora di un Paese che non ce la fa a risollevarsi

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di Claudia Marin

Frena di botto la corsa mattutina di migliaia di passeggeri per aggiudicarsi un posto, minimamente distanziato in piena pandemia, sulla congestionata Metro C della Capitale. Ieri prima dell’alba, a partire dalle 5.30 e per le successive cinque ore, affrettarsi per saltare su uno dei primi treni della giornata e recarsi al lavoro è stato non solo inutile, ma anche l’inizio di un calvario. L’intera linea, da Pantano a San Giovanni, è chiusa. Il motivo, la mancanza del numero necessario di personale. Comincia così, con questa (ennesima) doccia fredda, la giornata e la settimana di passione di tanti romani. Abituati, ormai, al piano più che inclinato di disservizi sempre peggiori ma, comunque, esasperati. Per chi rimane a piedi nel gelido mattino, la pezza è quasi peggiore del buco. Atac ha istituito un servizio sostitutivo con navette. Che ovviamente non hanno la capienza dei vagoni metro: i mezzi sono strapieni, il che in tempi di pandemia è molto pericoloso, e solo pochi riescono a salire, pressati come sardine in barba a ogni norma e raccomandazione anti Covid.

La Metro C è la metro 4.0 della Capitale, fiore all’occhiello del sistema underground, dotato di treni a guida automatica, senza macchinista, che con i suoi 19 chilometri di percorrenza e 22 stazioni collega il quadrante Est con il centro. La sua inaspettata serrata non è che una goccia nel mare di una decadenza urbana, civica e civile che bagna Roma da anni e probabilmente non ha precedenti. Dalle strade del centro ridotte a discariche di rifiuti smaltiti prevalentemente da volenterosi topi e gabbiani, ai bus incendiati ogni poche settimane in lungo e in largo per le strade straziate da buche profonde, al girovagare di cinghiali selvatici che dalle strade consolari si spingono sempre più verso l’Urbe, fino alla sorda burocrazia di uffici comunali inaccessibili ai comuni mortali: i romani e i (pochissimi) turisti superstiti vivono una realtà molto lontana dalle immagini edulcorate e immaginifiche proposte da chi amministra la Capitale. Non sarà un caso se la città del Colosseo è stata profeticamente insignita l’anno scorso del titolo di "peggiore città dove trasferirsi nel 2020" dall’Expat Insider, uno dei più importanti sondaggi internazionali sul tema. E non è ugualmente un caso se, quanto alla qualità della vita, Roma è la penultima tra le capitali europee secondo un recente studio targato Ue.

Ma come si è arrivati alla resa della metro C? La vicenda ricorda quella della notte di Capodanno del 2015, quando l’83 per cento dei vigili di Roma non si presentò in servizio, esibendo certificati di malattia o permessi della legge 104. Stavolta il numero degli assenti è stato minore, ma comunque sufficiente a bloccare la linea.

Il finale di giornata è comunque uguale a mille altri: mentre sui social divampa la rabbia dei cittadini rimasti a piedi o costretti a forti ritardi per il disservizio e mentre le opposizioni sparano a zero contro Virginia Raggi, l’Atac avvia i consueti e burocratici "accertamenti approfonditi per chiarire le ragioni della mancata apertura". A sciogliere il giallo sulle cause della chiusura, però, ci pensano, nelle ore successive, fonti informali della stessa Atac: "È stato uno sciopero bianco", spiegano, dovuto alla interruzione di una trattativa per integrazioni salariali richieste dal personale. Ma il sindacato Filt Cgil non ci sta e punta il dito contro l’azienda: "C’è una cronica carenza di organico".