Giovedì 25 Aprile 2024

Mamme in carcere con i figli: l’Italia vista da dietro le sbarre

Viaggio in 13 penitenziari: dal 2021 sono 22 le donne recluse con i loro piccoli. Le storie e le foto in una mostra

"Domani faccio la brava": la mostra del fotoreporter del Carlino Giampiero Corelli

"Domani faccio la brava": la mostra del fotoreporter del Carlino Giampiero Corelli

Il mondo è un corridoio su cui si aprono porte. Dietro le porte sempre le stesse cose. C’è un fornelletto per riscaldare il biberon o preparare la pappa. Ci sono i letti per le mamme e quelli per i bambini, con le sbarre, che però non sono uguali alle sbarre delle finestre.

Oltre le sbarre chissà. Un pezzo di prato e un albero, uno scivolo. Ma bisogna per forza guardare fuori e così fanno, lei che non avrà vent’anni e il figlio di pochi mesi con la felpa, rotondo e sereno. Bisogna anche ricordarsi di sorridere. E lanciare in aria per gioco quel piccolo individuo libero che in teoria può uscire quando vuole, quindi proprio volare, se qualcuno lo prende per mano. Maternità reclusa.

Un ossimoro irriducibile dentro un castello che è prigione ma anche casa. In Italia nel 2020 i piccoli rinchiusi con le madri erano 57. Sono scesi a 29 alla fine di gennaio 2021, poi a ottobre al minimo storico di 22. Ma sono ancora lì. Ce ne fosse uno soltanto sarebbe necessario ricordarlo.

Il fotografo del Carlino Giampiero Corelli è dal 2008 che si infila nelle sezioni femminili delle carceri italiane per fermare in uno scatto la loro infanzia incongrua, la sofferenza ma anche la voglia di riscatto di madri, addette di polizia penitenziaria, direttori di quello che comunque non è un asilo. "Domani faccio la brava": cinquanta immagini, tredici prigioni italiane, un video di interviste (e un libro imminente), da venerdì in mostra a Ravenna a Palazzo Rasponi dalle Teste. È la bellezza "dentro", da raccontare con pudore. Corelli ricorda che non tutti gli istituti sono uguali. Che non stanno fermi: la Dozza di Bologna, per esempio, aveva un clima tenebroso ma è arrivata un po’ di luce. E le detenute: non stanno ad aspettare te per mettersi in posa, qualcuna apre un varco, qualcuna ti manda a stendere. Il tema delle detenute con figli piccoli è annoso e irrisolto e oscilla di continuo tra "legge e ordine" e Cesare Beccaria. Ma non vediamo se non ci viene chiesto di farlo, in fondo non ci riguarda. Alziamo le antenne solo quando scappa il fattaccio.

Nel 2018 alla sezione "nido" di Rebibbia una tedesca di 33 anni ha gettato dalle scale della prigione i suoi figli di sei mesi e un anno e mezzo, la più piccola è morta. Nel 2021 una detenuta di origine bosniaca di 20 anni ha partorito in una cella ordinaria dello stesso reparto alla scadenza naturale del termine, di notte, senza ostetrica e nemmeno infermiera, aiutata solo dalla compagna a sua volta al quinto mese di gravidanza.

E come al solito: la legge italiana è una delle più avanzate sul tema, però mancano i fondi. A maggio è stata approvata alla Camera la proposta di legge per impedire che i bambini sotto i 6 anni seguano il destino delle madri recluse. In alternativa case famiglia con educatori specializzati e assenza di divise, o istituti a custodia attenuata. E divieto assoluto di custodia cautelare per la donna incinta. Staremo a vedere. Intanto ci sono quelle foto da guardare, l’obbligo dell’empatia. Una madre non può fare certe scelte: separarsi dal figlio o macerarsi nel senso di colpa per averlo voluto con sé. Non si conosce veramente una nazione finché non si sia stati nelle sue galere, diceva Nelson Mandela. Ecco, non facciamoci riconoscere.