Martedì 23 Aprile 2024

Ma sul lavoro un codice c’è: il buon senso

Anna

Bogoni

Finalmente! Finalmente avrà pensato il 99 per cento di noi rispetto al nuovo “dress code“ di Skyup. Non bisogna essere femministe barricadere per esigere e festeggiare le conquiste di parità di trattamento. In questo caso, sembra aver vinto anche il buon senso: nessuno ha mai fatto i mestieri in casa con i cuissard (questo solo forse su Playboy) o visto una maestra della scuola d’infanzia con i tacchi a spillo (neppure in un film di Almodovar). Insomma, comodità e praticità per tutti, a casa e anche sul posto di lavoro, brindiamo.

Quindi tutti, sempre e senza eccezioni, in tuta e sneaker a casa, in ufficio, a scuola, giorno e sera? Allora gli orchestrali, tanto per fare un esempio estremo, perché devono essere vestiti di nero con tanto di farfallino, gli uomini, persino se suoni il trombone? Il vestito è da millenni il foglio su cui io scrivo la mia identità, ma all’interno di una società che per secoli, attraverso religioni, istituzioni, culture e mode, ha imposto o suggerito modelli. Allora, da una parte ci sono le regole e quelle dove sono assurde (Skyup insegna) vanno abolite. Dall’altro c’è una ricerca di identità e di riconoscibilità nel gruppo, attraverso la divisa indossata, soprattutto sul posto di lavoro. Dall’altro non deve venire meno il senso dell’opportunità, una sorta di politicamente corretto, un codice di autodisciplina, che mi fa capire cosa è opportuno e cosa no nel contesto in cui sono. Sul senso di opportunità mi viene in mente una certa statua della spigolatrice di Sapri, ma questa forse è un’altra storia…