Marco
Buticchi
Ero poco più che un ragazzino quando, sulle spiagge del Belpaese, comparvero i
primi topless. Ammetto che allora, nell’Italia bacchettona, fosse necessaria una buona
dose di coraggio per approdare al sacrosanto piacere femminile (immagino) di tintarella a seno nudo o di bagnarsi senza inutili orpelli. Oggi, a una cinquantina
d’anni di distanza, di liberazione dal quotidiano indumento reggiseno si torna a
parlare. Com’è ovvio non ho sufficiente cognizione per dare un parere tecnico. Neppure oserei citare decenza o comune senso del pudore: per quanto mi riguarda basta star bene con se stessi per superare l’impasse. Bene, però, farà ogni donna a sottrarsi a ogni costrizione: un semplice capo di biancheria potrebbe rappresentare un passo verso un doveroso rispetto per il genere femminile troppo spesso latitante.
Eppure, parlo da maschio innamorato delle donne, quel baluardo rappresentava un
passo obbligato verso deliziose scoperte. Vi ricordate quante volte si rischiava di
perdere l’attimo di arrendevole magia perché, imbranati, ci s’impigliava con
inestricabili fermagli? Non ho mai capito se la reprimenda scattasse per pudore o per
presa di coscienza della ‘viril goffaggine’. Insomma, via pure il reggiseno, ma non
senza una punta di nostalgia per chi, neofita, si appresterà a scoprire per gradi
l’infinito e meraviglioso mondo della sessualità. Nella rivelazione di un segreto, il
primo a rimetterci è il piacere di scoprirlo.