Venerdì 19 Aprile 2024

Ma poi alla fine offendono solo le ragazze

Chiara

Di Clemente

La questione è sempre una e sempre lo stessa: se lo studente si presenta in classe in bermuda calati oltre le mutande, coi fantasmini e le infradito è un cafone, se la studentessa si presenta in classe con la maglietta corta e l’ombelico di fuori è una troia. Ci sta che a scuola i professori critichino l’abbigliamento dei loro studenti, è sempre successo e sempre succederà. Per i ragazzi non vale, ma è aberrante la naturalezza con cui alcuni docenti si ostinano a identificare le critiche all’abbigliamento delle ragazze con la sessualizzazione delle stesse.

Sei un profuna prof, non ti piace come è vestita stamattina la diciassettenne Cunegonda? Le dici guarda Cunegonda, questo è il nostro luogo di lavoro, ritengo che il tuo abbigliamento non sia consono. Punto. Non le dici cara Cunegonda mi sembri una battona. Perché se le dici mi sembri una battona, cosa le insegni? Le insegni che il suo valore o eventuale disvalore è morale (secondo la tua morale) ed è legato al suo corpo di donna in quanto ordinario oggetto di consumo sessuale, non alla sua persona totale e unica, e a giudicarla così sei tu insegnante, tu che ai suoi occhi e nel suo cuore sei il suo primo e più importante specchio con la società. Il problema è che se gli studenti si specchiano nei prof, bisognerebbe capire alcuni prof in chi si specchiano: di certo non in questa nuova generazione che fa del rispetto del proprio corpo, del rispetto della libertà di espressione nell’inclusione, del rispetto del linguaggio i suoi valori fondanti. E non c’è una parola più offensiva di questa: che non è la parola troia, ma misoginia.