Chubais volta le spalle a Putin. "Ma per il golpe è presto. Cremlino ancora forte"

La politologa Morini: militari e agenti della sicurezza sono ancora fedeli. "L’obiettivo? Chiudere con l’Occidente e vendicare l’umiliazione subita dall’Urss"

Il presidente russo Putin con Anatoly Chubais

Il presidente russo Putin con Anatoly Chubais

"La defezione di Anatoly Chubais ne è l’ennesima dimostrazione. Chi, in Russia, ha un orientamento più liberale sa di non aver strumenti per opporsi. E ha quindi due possibilità: o accetta in silenzio tutto ciò che accade e viene imposto, oppure scappa". Secondo Mara Morini, docente di scienze politiche all’Università di Genova e profonda conoscitrice delle dinamiche politiche russe, è ancora presto per parlare di scricchiolii nella cerchia intorno a Vladimir Putin.

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Lo zar, direttamente, aveva affidato l’incarico di inviato speciale per il clima a Chubais. Che significato ha l’addio di un funzionario da vent’anni ai vertici del Cremlino?

"Non definirei Chubais un fedelissimo di Putin. È stato un grande protagonista degli anni ’90 per il ruolo di riformista e liberale, tra i più vicini all’Occidente, assieme a Boris Nemcov, poi assassinato. Entrambi hanno avuto un ruolo decisivo nella democratizzazione russa. Nemcov era rimasto all’opposizione, Chubais ha voluto seguire Putin per una questione di sopravvivenza politica. Ma non fa parte della cerchia ristretta, dell’apparato. Non interpreterei quindi come crepa il suo addio".

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Ma Chubais aveva comunque un incarico importante.

"Si occupava dei rapporti con organismi internazionali e il suo ruolo non avrebbe avuto più senso, perché Putin vuole chiudere con l’Occidente. Gli conviene mantenere una finestra aperta solo dal punto di vista commerciale. Vedrei un segnale di spaccatura nella cerchia se ci fosse una fuga di personaggi dall’esercito o dall’agenzia di sicurezza".

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Quindi nessuna spaccatura intorno a Putin?

"C’è stato malumore all’inizio, soprattutto al ministero degli esteri. Ma poi si è visto un riallineamento. Putin ha subito epurato, censurato, sostituito, rinsaldando anche la parte di coloro che avevano obiezioni".

Si pensa che una soluzione per mettere fine alla guerra sia proprio un golpe al Cremlino.

"Non credo nel breve periodo, ma non lo si può escludere più avanti. Non prima della fine dell’anno, in base all’andamento del fronte militare. È difficile poi trovare una persona che abbia il coraggio di organizzare un golpe, perché potrebbe ritrovarsi solo senza una coalizione anti-putiniana. Putin è ben organizzato anche per la sua sicurezza. Difficile raggiungerlo e ucciderlo. Un golpe non lo ritengo una soluzione per il conflitto, ma una conseguenza".

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Nel suo libro ’La Russia di Putin’ parla di un Paese poco conosciuto nelle sue dinamiche interne. Ora che cosa sappiamo?

"La visione di Putin non è guidata dalla paranoia, ma razionale e lucida, basata su elementi non difficili da comprendere. Un percorso nel solco della tradizione russa che richiama la volontà di riportare la Russia a essere una grande potenza dopo l’umiliazione del crollo dell’Unione sovietica. Un’ascesa non solo economica e politica, ma un nuovo posizionamento a livello internazionale. Putin vuole essere riconosciuto come partner uguale agli altri grandi".

Abbiamo visto la manifestazione allo stadio con migliaia di russi ad applaudire Putin. Propaganda o realtà?

"Molta propaganda perché ciò cui abbiamo assistito avviene ogni anno, il 18 marzo si festeggia la riunificazione. È un modo per dimostrare all’opinione pubblica che lui ha sotto controllo la situazione, agli occhi esterni mostra il consenso nei suoi confronti".

Fin dove vuole spingersi? Vuole prendersi tutta l’Ucraina o è pronto a fermarsi se Kiev accettasse le condizioni imposte da Mosca?

"È chiaro che a Putin, se lo prendiamo in parola, non interessa spostare di poco la famosa linea rossa verso Occidente. Non è detto che si accontenti del Donbass, ma se la situazione sul campo non dovesse essere vantaggiosa, l’opzione di uscita sarà trattare per un obiettivo minimo. Annessione del Donbass e neutralità ucraina sono criteri minimi. Altrimenti perderebbe la faccia e non solo all’estero. Non saprebbe come giustificare la ’denazificazione’".