Ma la vita dei figli d’arte non è scontata

Viviana

Ponchia

Nella comunità siberiana si impara a uccidere da piccoli, in casa Ronaldo a non mangiare cioccolato. L’educazione siberiana insegna che con le botte non si risolve per cui è meglio passare subito alla pistola, “Crpapy” procede direttamente dal tapis roulant ai 200 gradi sottozero della crioterapia. Disciplina. Etica del lavoro. Pollo e insalata quando gli altri mangiano patatine. Tremila addominali al giorno e pisolini a raffica altrimenti lo sleep advisor si arrabbia. È così che si diventa il calciatore del secolo. E che si risveglia prima del tempo la pulsione edipica di un bambino di dieci anni, psicologicamente invitato a fare fuori il padre solo entro l’adolescenza. Il cognome non basta. Forse nemmeno stare alla larga dalla Coca Cola. Sandro Mazzola e Paolo Maldini hanno dimostrato che è possibile fare meglio dei genitori, ma Jordi Cruijff non valeva un polpaccio del padre Johan. La vita dei figli d’arte non ha sbocchi scontati. Nemmeno quella dei figli di nessuno, nel loro piccolo tramortiti da impegni da capitani di industria. Il pulcino Cristian Totti in campo è adorabile però forse un giorno spezzerà il cuore a suo padre con una laurea in ingegneria. Cristiano junior si veste come il senior, ha le stesse pose da duro, ma non è detto che il travaso di ossessioni paterne lo porti a fare ciò per cui è programmato. A CR7 va bene anche medico, purché fuoriclasse. Tuttavia potrebbe lasciare un segno la mania della lacca, per un glorioso futuro da parrucchiere.