Firenze, 28 aprile 2021 - Ci mancava solo che lo condannassero. Non lo chiedeva la pubblica accusa, e non lo ha voluto il Gip. Bene. Walter De Benedetto ha il diritto di fare di tutto per attenuare le sue sofferenze: anche coltivare in casa un po’ di cannabis. Che non vende agli angoli bui delle strade, ma assume come terapia del dolore. Non gli basta, ma qualcosa fa. È stato forse ineccepibile denunciarlo. È stato altrettanto corretto assolverlo. Pensare che il caso De Benedetto, l’eccezione curativa, possa diventare la regola, è invece la solita operazione politica per cui 2 più 2 finisce per fare 22 e non 4, e a cui si sono subito dedicati tutti i movimenti sì-drug, Sardine comprese.
Il ragionamento è noto: se la cannabis fa bene ai Walter, non fa male a nessuno. Che è come dire che siccome la morfina è la mano santa che accarezza e distende il volto dei sofferenti, i morfinomani, come le dame francesi dell’800, non sono dei drogati, e la morfina non è una droga da vietare fuori dall’uso sanitario.
Sarebbe come dire che siccome in autostrada c’è una corsia di emergenza per i mezzi di soccorso, tanto vale che ci passino anche quelli che hanno fretta. Insomma, bene l’assoluzione di De Benedetto, e bene l’uso terapeutico, controllato, fermo restando, però, che una droga resta una droga.
Anche quelle leggere, spesso anticamere delle pesanti: che non bastano per curare lo spirito, ma sono sufficienti a ferire il corpo.