Banda veloce a passo di lumaca. Due anni di ritardo, cablate solo 3 case su 10

La chiusura dei cantieri è già slittata dal 2020 al 2022. Corsa a ostacoli per superare i vincoli e avere i permessi degli enti locali

Reti internet in Italia

Reti internet in Italia

Il ritardo c’è ed è evidente. Almeno due anni rispetto alla tabella di marcia. I lavori per la nuova rete a banda ultralarga avrebbero dovuto essere completati entro il 2020. Se tutto andrà bene, il grosso dei cantieri chiuderà nel 2022, con una piccola coda nei dodici mesi successivi. Una vera e propria corsa contro il tempo che nell’era del Covid, in piena pandemia, con la necessità ormai quotidiana di dover utilizzare le connessioni superveloci, diventa una necessità prima ancora che un obbligo.

Ma qual è la situazione reale? Secondo gli ultimi dati disponibili, Open Fiber, ha connesso finora oltre 3,3 milioni di Unità Immobiliari nei comuni più piccoli e difficili da raggiungere: le aree bianche (o cluster C e D), dove la società controllata da Enel e Cdp opera come concessionario pubblico, dopo essersi aggiudicata i tre bandi Infratel (società in house del Ministero dello Sviluppo). In queste zone, la commercializzazione dei servizi è aperta in circa 1.200 comuni. La previsione di Infratel e di Open Fiber è di accelerare il cablaggio per poter terminare il piano nel 2022, con qualche coda residuale nel 2023.

Parallelamente Open Fiber sta cablando anche le medie e grandi città con investimento privato portando il totale delle unità immobiliari connesse nel Paese a circa 10 milioni, circa la metà di quelle previste dal suo piano industriale. In appena 279 comuni su oltre 6.300 i lavori per la posa in opera della fibra sono stati terminati. In 637 sono collaudabili e presto potranno essere commercializzati i servizi, mentre su 768mila unità immobiliari circa la metà (349mila) sono disponibili agli operatori.

Insomma, c’è ancora tanto da fare mentre l’Italia continua a galleggiare agli ultimi posti nella speciale classifica dei Paesi più digitalizzati. Tanto che ormai la rete a banda ultra larga sta diventando sempre più un’urgenza nazionale. È vero che per quanto riguarda la connessione fino a 30 Mbits la copertura ha superato il 90%, ma per la rete ultraveloce che arriva fino a casa (FTTH e FWA) siamo al 30% delle unità abitative a fronte di un 34% della media europea. Non basta. L’indice Desi, che misura la digitalizzazione dell’economia e della società tra i 28 Paesi membri della Ue, ci vede al 25mo posto; la maggiore carenza non è tecnologica, ma del capitale umano, cioè delle competenze, nelle quali siamo indietro rispetto alla media europea.

Certo, bisogna anche considerare l’effetto Covid. Lavorare nel pieno di una crisi sanitaria non è stato facile. E per evitare il peggio si sono anche adottate soluzioni innovative: con l’utilizzo di Smart Glasses, ad esempio, i collaudatori sono riusciti a interagire da remoto con il personale in loco, salvaguardando la salute e consentendo di velocizzare le attività. Ma le procedure autorizzative hanno subìto un forte rallentamento. Con tutto quello che ne consegue dal punto di vista dei lavori. Per la progettazione esecutiva, ad esempio, bisogna fare i conti con i tempi di risposta degli enti di volta a volta coinvolti, che impiegano dai 6 ai 12 mesi per far scattare il semaforo verde. I problemi più grossi si incontrano, però, durante la fase di avvio dei cantieri. Durante lo scavo potrebbero venire fuori reti di servizio a profondità minime. O reperti archeologici. Oppure potrebbero esserci l’opposizione dei proprietari dei terreni dove viene poggiato il cavo. Un dato per tutti: per realizzare l’intera rete i tecnici di Open Fiber hanno calcolato che servono non meno di 100mila permessi. Tanto che il Mise ha già avviato una serie di incontri tecnici per rendere l’intero iter più semplice.

 

 

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