Giovedì 18 Aprile 2024

Ma io dico di no Non ha nulla da insegnare

Gabriele

Moroni

ome vuoi, ma prima guardami. Mi sono fatto quarant’anni di galera ed eccomi come sono ridotto". Renato Vallanzasca lo diceva tempo fa a un ragazzino che gli confidava il sogno di diventare il Vallanzasca del Duemila. Confessione, forse sincera, smessa l’antica spavalderia, di un fuorilegge ormai attempato, Lo specchio non gli rimandava più l’immagine un po’ luciferina da bello e dannato ma guance gonfie, solchi di rughe, capelli diradati, gli occhi cerulei bisognosi di lenti. E oltre a questo? Non si rintraccia in questi anni, gli anni della stagione morta, della vecchiaia per l’ex principe della Comasina milanese, un atto, un pensiero, che lo accostino, se non al pentimento (a cominciare dal perdono mai chiesto ai familiari delle vittime), almeno al ripudio della sua violenta epopea: qualcosa che possa fare socchiudere il portone del carcere, conficcare un piccolo cuneo nel muro compatto dell’ergastolo.

Anche se oggi, per poter essere affidato a una comunità, scrive ai magistrati: "I pensieri sulla mia vita mi hanno sempre accompagnato, così come la consapevolezza dei danni che ho creato. A tutti. Il mio futuro ora potrebbe essere in una comunità, magari per poter essere utile ai giovani. Potrebbero trarre qualche giovamento dalla mia vita assurda". Vallanzasca “magister vitae”, convertito a compiti pedagogico-educativi? Impensabile, improponibile. Perché pur invecchiato, sarà sempre Vallanzasca. È l’altra condanna a vita, oltre a quelle inflitte dai giudici: non poter essere dimenticato. Insieme con il suo passato.