Ma che tristezza i pappagallini del tg della sera

Massimo

Donelli

Quando i cellulari non esistevano, l’unica forma di navigatore era il Tuttocittà e per conoscere l’anno di nascita di Winston Churchill era indispensabile consultare l’enciclopedia… Quando, cioè, la rivoluzione digitale nemmeno si poteva immaginare e vivevamo nel placido mondo analogico… Bene in quel tempo c’erano i peones. Ovvero, come spiega la Treccani, "militanti o deputati di grandi partiti che, privi di peso politico e senza cariche importanti, vengono esclusi dalle scelte più rilevanti e destinati a eseguire le decisioni degli organi dirigenti alla cui formulazione non hanno preso parte".

I poveracci del parlamento repubblicano, insomma. I pigiatori di tasti e alzatori di braccio a comando. Onorevoli di nome e disonorati di fatto. Dove sono finiti i peones? Nel mondo digitale, obbedendo alle leggi dell’evoluzione, si sono trasmutati in pappagallini da telegiornale. Vediamo.

Ogni sera alle 20, qualunque sia il tema politico, il Tg1 dà voce agli esponenti della maggioranza e a quelli dell’opposizione. No, non parliamo di Matteo Renzi, Enrico Letta, Matteo Salvini o Giorgia Meloni. Parliamo, appunto, dei pappagallini, onorevoli del tutto sconosciuti che sembrano i bambini degli anni Cinquanta a Natale.

Noi venivamo issati su una sedia per recitare a memoria, davanti al presepe, la poesia su Gesù Bambino. Loro, invece, vengono piazzati davanti a un microfono e ripetono in 15 secondi ciò che gli è stato ordinato di dire sui vaccini, i ristori, il recovery plan, la legge Zan. In genere, banalità assolute. Di nessun interesse. Tranne l’interesse del pappagallino e dei parenti.

Lui, il giorno dopo gongola quando viene riconosciuto al bar dai fisionomisti che lo indicano a dito. Loro, sono tutti contenti di vederlo in televisione per dirlo ai vicini di casa. Piccole vanità del tempo digitale. Piccole miserie della politique politicienne. Fatta, appunto, di chiacchiere inutili…