Martedì 23 Aprile 2024

Recovery fund, ecco cosa deve fare l'Italia per avere i soldi. Quota 100 in bilico

Non solo Rutte: la pensione a 62 anni fa storcere il naso a molti Paesi, a partire dalla Germania. Si studiano gli aggiustamenti

Emmanuel Macron e Angela Merkel a Bruxelles (Ansa)

Emmanuel Macron e Angela Merkel a Bruxelles (Ansa)

A Via XX Settembre, sia pure con cautela per non rovinare il successo europeo, hanno cominciato a tirare fuori i dossier del cantiere pensioni, chiuso all’improvviso a febbraio per l’incalzare dell’emergenza Coronavirus. Nel mirino c’è Quota 100: la volontà del Ministro dell’Economia, ma anche di larga parte del Pd e di Italia Viva, di smantellare il meccanismo di uscita anticipata verso la pensione, frutto del governo gialloverde, c’era già prima della pandemia.

Ma a settembre, in vista del varo del piano di riforme e della manovra per il 2021 da presentare a Bruxelles, la fine anticipata (o il drastico ridimensionamento) del pensionamento a 62 anni di età e 38 di contributi potrebbe rivelarsi una carta decisiva per ottenere lo sblocco delle risorse del Recovery fund. Insieme con misure correttive che riguardino reddito di cittadinanza semplificazione burocratica, il mercato del lavoro dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico (anche in conseguenza dello smart working strutturale). E, come effetto complessivo delle azioni, il contenimento del debito pubblico. L’intervento su Quota 100, d’altra parte, è stato richiesto a gran voce dal premier olandese Mark Rutte, ma in via riservata anche dagli altri partner (Angela Merkel in testa) che hanno favorito l’accordo. Dunque, se non è una contropartita esplicita, di sicuro è un fattore determinante per sgombrare il campo da nuovi, possibili veti in sede di verifica delle intese.

Sul piano delle ipotesi in gioco, la soluzione attorno alla quale hanno lavorato i tecnici dell’Economia si basa, invece, su un’età di accesso fissata a 64 anni. Ma le varianti ipotizzabili sono molteplici. In primo piano Quota 102, intesa come somma tra 64 anni di età e 38 di contributi. E nel novero delle ipotesi di rilievo è anche la possibilità di prevedere l’età minima a 64 anni (anche senza i 38 anni di contributi) con il calcolo interamente contributivo dell’assegno, con penalità implicite sugli importi.

Né va trascurata la proposta, presentata a suo tempo dall’economista Pd Tommaso Nannicini, che prevede flessibilità a partire dai 63-64 anni, con la stabilizzazione dell’Ape social. Così come potrebbe tornare in gioco la via ipotizzata dal Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che punta su età differenziate a seconda della gravosità dei lavori.

Appare, al contrario, fuori portata la proposta originaria dei sindacati che punta a fissare a 62 anni l’età di accesso al pensionamento con almeno 20 anni di contributi, senza penalizzazioni legate al calcolo interamente contributivo dell’assegno.

Merita un discorso a parte il capitolo del reddito di cittadinanza. È vero che l’Europa contempla e sollecita la presenza di misure di contrasto della povertà. Ed è vero che è una bandiera grillina difficile da ammainare. Ma la versione italiana si è rivelata eccessivamente sbilanciata sul fronte assistenziale e poco o niente utile come strumento di attivazione in chiave occupazionale: dunque, la correzione in questa direzione, anche con il riassetto dell’Anpal e la fine dello scandalo navigator, finirà per imporsi. Così come sarà ugualmente rilevante, agli occhi di Bruxelles, allineare le regole italiane sui contratti a termine a quelle, meno rigide, degli altri Paesi europei. Tanto più se si tratterà di assorbire quote crescenti di disoccupati.

1) La pensione anticipata a 62 anni

L’osservata speciale è Quota 100: la misura adottata a inizio 2019 garantisce la pensione anticipata a chi, a 62 anni di età, ne ha maturati 38 di contributi. La misura sperimentale, durata tre anni, ha un impegno finanziario preventivato di 42,5 miliardi. Richieste finora inferiori alle attese

2) Il reddito non aiuta l'occupazione

La misura, che in forme diverse è presente in tutta Europa ed è stata voluta dal Movimento 5 Stelle, ha avuto risultati deludenti come politica attiva per il lavoro: al 31 dicembre 2019, appena 40mila beneficiari su quasi 2,4 milioni hanno trovato lavoro. In pratica, meno del 2%

3) Debito pubblico tra i più alti al mondo

Nel 2019 il debito pubblico dell’Italia era di 2.409,2 miliardi di euro: il 134,8% del Pil, quando i parametri di Maastricht imporrebbero il 60%. Con il Covid-19, il nostro debito pubblico è salito oltre i 2.500 miliardi e, complice il crollo del Pil, a fine anno è atteso un rapporto del 160%.

4) Burocrazia, un tallone d’Achille

Nel decreto Semplificazioni approvato poche settimana fa vengono previste misure per snellire la burocrazia, uno dei nostri punti deboli in Europa. Secondo la Cgia di Mestre, il costo che grava sulle imprese si aggira sui 57 miliardi di euro l’anno.

5) Contratti a termine da semplificare

Con ogni probabilità, agli occhi di Bruxelles, sarà rilevante allineare le regole italiane sui contratti a termine (normate dal decreto Dignità) a quelle, meno rigide, degli altri Paesi europei. In particolar modo se bisognerà assorbire quote crescenti di disoccupati.

 

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