L’urlo rock contro la guerra (per svegliare l’Occidente)

Matteo

Massi

Col rock non si fanno le rivoluzioni. Non è mai successo e forse non succederà mai. Né tantomeno si fermano le guerre. Però fa molto rock gridare dal palco slogan politicamente impegnati e anche i Maneskin non si sottraggono al ruolo che si sono consapevolmente ritagliati. Hanno scelto, tra l’altro, un palco prestigioso per scagliarsi contro Putin e schierarsi con l’Ucraina. L’altra notte Damiano dal Coachella festival ha urlato: Free Ukraine and fuck Putin. E ha condito lo slogan con una citazione alta, da Il grande dittatore di Charlie Chaplin. Malignamente si potrebbe pensare che certe scelte di campo funzionino anche in termini commerciali (dischi venduti e biglietti staccati). Come si fa a non pensarci, d’altronde, dopo aver visto la repentina reunion di quello che resta dei Pink Floyd che hanno scritto una nuova canzone – dopo ventotto anni – proprio per l’Ucraina? O addirittura a Julian Lennon che canta per la prima volta Imagine di suo papà John, annunciando urbi e orbi che ha rotto un giuramento (avrebbe cantato quella canzone solo se ci fosse stata una guerra o una catastrofe)?

I Maneskin, però, non hanno bisogno di pensare a quanto sia conveniente una mossa del genere. Hanno vinto Sanremo, hanno trionfato all’Eurovision, duettato con i Rolling Stones e incassato i complimenti di Jagger e soci, insomma non hanno bisogno di migliorare la posizione. Quindi gesto autentico, forzato, interessato o solamente modaiolo? Nessuno dei quattro, probabilmente, ma solo un modo per dire: sappiamo quello che succede nel fronte più orientale dell’Europa. E ci schieriamo. Non servirà a fermare la guerra. Ma alzerà il volume – non solo in maniera figurata – dell’Occidente contro questa guerra che solo Putin ha voluto.