"Lupo Alberto? Ci parliamo da quasi 50 anni. E Cattivik fu il regalo più bello di Bonvi"

Il fumettista Guido Silvestri racconta il rapporto coi personaggi nati dalla sua matita, un successo in Italia e all’estero. "Volevo uscire dal cliché del predatore vorace, così gli feci amare una gallina. Oggi lavorare è difficile, il web brucia le battute"

Silver con i personaggi di Lupo Alberto

Silver con i personaggi di Lupo Alberto

Quando un eroe dei fumetti ti accompagna per quasi 50 anni, diventa più di un segno sulla carta: è come guardarsi allo specchio. "Con Lupo Alberto, per me, è un po’ così: a volte non so se a parlare sono io o lui… – sorride Silver, al secolo Guido Silvestri, uno dei maestri della matita –. Con la differenza che lui è rimasto uno scavezzacollo di 25 anni, invece io sono invecchiato". Dagli inizi con Bonvi al grande successo di Lupo Alberto, la cui immagine è stata stampata su milioni di magliette e diari, Silver vanta una carriera unica.

Come le è venuto in mente di vivere disegnando fumetti?

"Ho letto fumetti fin da piccolo. Dalle strisce americane pubblicate da Il Giorno, come il Mago Wiz e Modesty Blaise, alla svolta di Linus, a metà degli anni Sessanta, con un livello di qualità molto alto"

Come finì nello studio di Bonvi a soli 17 anni?

"Frequentavo l’Istituto d’arte a Modena e un insegnante disse che l’amico di un amico cercava collaboratori. Presi il biglietto da visita e mi catapultai il pomeriggio stesso nel suo studio. Gli feci vedere i miei disegni, acerbi, e mi mise alla prova"

Che ricordo ha di Bonvi?

"Lavoravamo gomito a gomito, giorno e notte. C’erano più di 10 anni di differenza fra di noi, era un fratello maggiore, quasi un padre. Uno dei miei più grossi rimpianti è che se ne sia andato presto, oggi sarebbe un arzillo ottantenne e di cose potrebbe raccontarne davvero tante. Mi manca ogni anno di più"

Era un tipo originale, il Bonvi. Si dice che abbia sconfinato in Jugoslavia col carro armato durante il servizio militare, ne ‘sparava’ una al giorno…

"Era quasi geloso della popolarità dei suoi personaggi, si inventava questa vita fatta di aneddoti e provocazioni che facessero parlare di lui. Chi lo conosceva bene, però, sa che era una persona di una grande umiltà, quasi timido"

Lei ha creato Lupo Alberto quasi 47 anni fa. Come e dove è nato questo personaggio?

"Per andare all’Istituto d’arte, alla mattina prendevo il pullman da Correggio: vedevo i campi e gli animali delle fattorie, mi immaginavo che potessero parlare. Non ero il primo, intendiamoci, ma ho cominciato ad aggiungere pezzi a questo micromondo dell’aia. La scintilla è stata quella, avevo 16-17 anni. La prima storia del Lupo è arrivata nel 1974, sulle pagine del Corriere dei Ragazzi: allora disegnavo Cattivik e Nick Carter, non fu facile sdoppiare lo ‘stile Bonvi’ da uno mio, più personale"

C’è un personaggio modellato su qualche conoscente?

"Evito di fare riferimenti a persone che conosco, più che altro mi ispiro a tipi umani: il rompiscatole, lo stupido… Unica eccezione la talpa Cesira, moglie di Enrico: ricorda davvero molto mia mamma, casalinga emiliana doc, una persona schietta che ama cucinare"

Perché il Lupo si innamora di una gallina? Di solito non le mangiano?

"Sono voluto uscire dal cliché del lupo vorace disneyano: quando Lupo Alberto entra nel pollaio e si porta via la gallina dietro un cespuglio, pensiamo che ne faccia un sol boccone. Invece poi li troviamo abbracciati, con Marta che dice: “Alberto, non possiamo continuare a vederci così….”"

Lei ha collaborato a varie campagne di sensibilizzazione con Lupo Alberto. In particolare c’è il caso dell’opuscolo sull’Aids, ‘Come ti frego il virus’, la cui distribuzione nelle scuole, nel 1991, fece scandalo perché si parlava di preservativo. Come andò quella vicenda?

"L’opuscolo fu promosso dal Ministero della Sanità, approvato e tutto, non era una mia provocazione. Quando aderisco a questi progetti, lo faccio sempre a titolo gratuito. Era destinato ai luoghi di aggregazione giovanile, come palestre e discoteche, dove si consumavano anche rapporti non protetti. Qualche insegnante illuminato pensò di introdurlo a scuola e alcuni genitori si scandalizzarono. Il punto era che si parlava di sesso e morte, temi che andavano rimossi"

Ne nacque un polverone…

"Mi ricordo le serate con mia moglie davanti alla tv: eravamo esterrefatti, ne parlavano Santoro, Costanzo, Ferrara. Non mi feci trovare per giorni, non volevo andare in tv: mi avrebbe imbarazzato moltissimo…"

Oltre al Lupo, lei è famoso anche per Cattivik, il ‘Genio del male’, creato da Bonvi nel 1968 come parodia dei fumetti neri. Come avvenne il passaggio di consegne?

"A un certo punto, Bonvi non ce la faceva più a stare dietro a tutto, il successo di Supergulp e delle Sturmtruppen era travolgente. Mi dispiaceva vedere Cattivik in un cassetto, per me rimane il suo personaggio più riuscito. Chiesi se potevo disegnarlo, riconoscendogli tutto il dovuto. E lui, subito: ‘Certo, fanne quello che vuoi, è tuo’. L’ho continuato, ho trovato collaboratori valenti che hanno dato ognuno la propria impronta. Continuo a scrivere storie, mi dà sempre grande soddisfazione, è la mia ora di ricreazione".

Negli anni Ottanta, lei ha trasferito su carta i comici Zuzzurro&Gaspare, allora famosi protagonisti del Drive In. Come è nato il sodalizio?

"Mi telefona un giorno Andrea Brambilla, il commissario Zuzzurro, e mi fa: ’Per i nostri sketch abbiamo saccheggiato le tue strisce del Lupo, ci piacerebbe realizzare un libro con i nostri personaggi’. La cosa iniziò così, e abbiamo pubblicato tre volumi. Con Andrea è stata amicizia vera. Avevo immaginato un testo cucito su di loro da portare a teatro, poi purtroppo, nel 2013, Andrea ci ha lasciato. La sua morte è stata straziante. Ancora oggi le nostre famiglie si frequentano".

Per evitare critiche soprattutto sui social, oggi satira e umorismo devono rispettare sempre più le diverse sensibilità. Anche i capolavori Disney vengono accusati di diffondere stereotipi razzisti. È più difficile, così, il suo mestiere?

"Io faccio riferimento alla mia sensibilità e al buon senso: non credo di aver fatto vignette scorrette o discriminatorie, ma comunque sia non ho bisogno che qualcuno, magari nei 280 caratteri di un tweet, mi faccia la lezione, so già di non essere razzista. Più che altro, il mestiere del vignettista quotidiano, che ho fatto per un paio di anni, quello sì oggi è più difficile. Dopo una giornata di lavoro in cui hai spulciato i giornali per trovare lo spunto giusto, arriva uno sul web che ti brucia la stessa battuta".

Ha dei progetti futuri?

"A 68 anni, mi piacerebbe cominciare ad occuparmi della mia vecchiaia. Ho trascurato un po’ la famiglia, se sono qui è grazie a mia moglie che ha tirato su i figli e mi ha tolto le castagne dal fuoco. Potrei fare qualche altro libro e andare in pensione".

E Lupo Alberto? Andrà in pensione con lei?

"Non voglio fare come Schulz che se n’è andato portandosi dietro i suoi Peanuts. Troverò qualcuno che possa portarlo avanti. Anzi, forse l’ho già trovato…"