Martedì 23 Aprile 2024

L’uomo che abita in cima a un ciliegio. "Docce gelide, ma qui sono rinato"

Gabriele Ghio, 41 anni, da quattro la sua casa è in un bosco del Piemonte: "La mia residenza non avrà mai numero civico"

Gabriele Ghio, 41 anni, nella sua casa sull'albero

Gabriele Ghio, 41 anni, nella sua casa sull'albero

Gabriele Ghio ha 41 anni e da quattro vive su un albero. Come Cosimo Piovasco di Rondò, che dopo aver litigato con i genitori per un piatto di lumache salì su un frassino del giardino di casa e non mise più piede "in questa terra di autorità e di ingiustizia". Gabriele non ha litigato con nessuno. Ama Calvino ma non prende suggerimenti dal Barone rampante. Ha sterzato quando la vita ha deciso di metterlo alla prova. Non si considera un eremita. Lavora, fa cose, vede gente. Ma il suo indirizzo è un ciliegio storto in un bosco del Piemonte. Una casetta di 6 metri quadri senza bagno, luce, acqua e riscaldamento. Si chiama Tree House Living, all’estero va forte: un trasloco fra i rami per rallentare e ridurre tutto all’essenziale. Per essere più vicini al cielo e forse a una specie di felicità.

Quel ciliegio in questa stagione sarà in fiore. È felice?

"Ora sì. Ho selezionato le cose migliori. Possedere più di un letto, qualche libro e cinque paia di jeans toglie tempo e spazio. L’albero è poderoso e selvatico: alto 10 metri, con una chioma spettinata. I miei vicini sono lo scoiattolo e la volpe, la luna e il silenzio. Sono cambiato mentre il resto è rimasto uguale. Al mattino mi vesto e faccio colazione, salgo in macchina e vado a lavorare. Non sono un saggio o uno squatter e nemmeno un cliché. Mi considero un uomo nudo nella pancia della foresta, sul bordo di un abisso che cura".

E noi qui a pensare al freddo, alla doccia. Una cura scomodissima.

"In realtà ho tutto quello che mi serve. Una scaletta da fienile, una porta senza serratura che chiudo con una conchiglia. Tre metri per due, una parete tutta di vetro. Il letto è su un soppalco, sotto c’è il soggiorno col tappeto, i cuscini e i libri sparsi per terra. Ho coibentato il pavimento di legno con polistirolo grafitato e l’ho ricoperto di erba sintetica perché quando piove l’umidità sale da sotto. L’angolo cucina è un baule di ferro con un fornello a gas da campeggio e provviste per massimo 2 giorni. Compro, cucino e mangio, soprattutto riso e verdure. Con una sola fiamma non sono ancora arrivato ai sughi e al brasato".

C’è gente che applica la stessa filosofia in un monolocale in centro. Ma la toilette?

"Scendo la scala e ne ho due in base alle stagioni: in mezzo ai cespugli. Per lavarmi c’è una cisterna e col bambù ho costruito anche la doccia: acqua fresca d’estate e gelata d’inverno. Ci si abitua. All’inizio sfruttavo la palestra ma con il lockdown ho fatto il salto di qualità. Quello delle colline non è il freddo cattivo della città, non ti uccide".

Passi la doccia ghiacciata se dentro, a gennaio, c’è un fuoco acceso.

"Ho cominciato col fornelletto a pellet che crea la fiamma e non fa fumo. Il secondo inverno ho montato sul tetto un pannello solare e un apparecchio che si usa per riscaldare i camper, poi ho capito che stavo tornando al punto di partenza, ho tolto tutto e sono tornato al fornelletto. Via anche le tre lampadine a led, preferisco le candele. Ho un tot di corrente per ricaricare telefonino e tablet. Piccole quantità. Cinquanta litri di acqua, 200 milliampere. Sono la mia ricchezza, non spreco nulla".

"Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria", scrive Calvino. Nel suo caso c’era premeditazione?

"Sono stato bambino con un papà merciaio. Poi adulto con due lavori, vetrinista e istruttore di guida. In città non mi sentivo comodo. Ma il campanello d’allarme è suonato dopo un viaggio in Marocco: ero in garage a fare manutenzione del fuoristrada, si sono sfilati i cric e sono rimasto schiacciato. In ospedale, vicino ai malati veri, ho capito di essermela cercata. Sotto il tubo della Tac è stato chiaro: è la vita che voglio? Quando sono uscito ho perso il lavoro da vetrinista ed è finita una lunga storia d’amore: quando la vita vuol farti capire qualcosa picchia duro. Due amici mi hanno detto: abbiamo una casa sull’albero, perché non vai a riposarti lì? Sono partito con una borsa di vestiti e una tavola da surf posata su quattro mattoni rubati in un cantiere per farci il letto. Sul bordo del precipizio, in cima a un ciliegio: l’equilibrio più precario che si possa immaginare. Mi stavo spogliando e non lo sapevo".

E non si è più mosso.

"La prima notte mi sono svegliato all’una e sono scappato. Sentivo rumori di passi sul tetto, fuori c’erano il buio eterno e tutti i miei fantasmi. Ho raggiunto in macchina il paese più vicino, mi sono calmato fissando una finestra aperta e la luce di una tv. Sono tornato indietro brandendo la torcia e il mattino dopo davanti a due scoiattoli ho capito di essere finalmente al sicuro".

La sua storia è diventata un libro. Dopo quasi 5 anni non ha voglia di un altro orizzonte?

"Sto mettendo da parte i soldi per un viaggio. A giugno salirò sul fuoristrada per andare alla ricerca di tutte le case sugli alberi del mondo. Prima l’Italia, poi il Nord Europa e la Cina, Filippine e Costa Rica. È arrivato il momento di andare avanti e mettere radici altrove, forse scrivere un secondo libro. Ma la mia residenza non avrà mai un numero civico. Sempre fra i rami, mai a meno di 10 metri da terra".