Martedì 23 Aprile 2024

L’unico armistizio possibile

Pierfrancesco

De Robertis

Il tanto atteso vertice di centrodestra si conduce con un apparente pareggio, in cui ogni partito della coalizione vede la parte che gli fa comodo. Poco? Tanto? Al momento è l’unico risultato possibile, unico punto di equilibrio accettabile per tutti. Ci rimane male un po’ Giorgia Meloni, che avrebbe voluto un’indicazione chiara anche da FI e Lega sul suo nome, ma d’altra parte gli altri facevano fatica ad accettare di fornire alla leader di FdI, già in testa nei sondaggi, il vantaggio del "traino" sulla lista che l’individuazione di un premier designato porta sempre. Si parte tutti alla pari, e chi ha più filo tesserà.

Il punto per il centrodestra non è però il premierato, indicazione peraltro irrilevante ai fini pratici, e basti pensare che dal 2011 i sei premier nominati non erano mai stati tra quelli espressi prima del voto. Il punto è condurre una campagna che non dia per già vinte le elezioni, perché due mesi sono lunghi e tutto può cambiare. In elezioni come queste, si tratterà di fare meno errori possibile e soprattutto di sfruttare i punti deboli degli avversari. Nessun errore sulle liste (citofonare Roberto Jonghi Lavarini, alias il "barone nero" candidato alla Camera da FdI nel 2018), e sapiente sottolineatura dei difetti altrui, il più evidente e comprensibile dei quali è, almeno da quanto è dato vedere finora, l’effetto "armata Brancaleone", da Fratoianni a Calenda. Una buona arma da spendersi, a un patto: non riprodurre in piccolo lo stesso effetto. E qui torniamo all’incontro di ieri, all’armistizio "necessario". Forzare, dentro il centrodestra, non serve d’altra parte a nessuno. Neppure alla front-woman Giorgia Meloni. Se infatti non si producesse una vittoria limpida e si dovessero riproporsi situazioni che richiedessero poi un compromesso, come nel 2013 e nel 2018, chi rischia di più è sempre chi sta agli estremi. E allora di un punto o due in più nel voto di lista te ne farai ben poco.