Mercoledì 24 Aprile 2024

L’ultima tentazione del Pd Pressing per tornare col M5S

La polarizzazione rosso-nero non paga, cresce la fronda di chi spinge Letta a guardare di nuovo a Conte

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Sofia

Ventura

Il rosso e il nero, ma non la passione e la morte della provincia francese raccontata da Stendhal, bensì il buon governo e il pericolo per la democrazia, poste in gioco delle imminenti elezioni. Questa è la chiave della campagna elettorale che il Pd e il suo segretario Enrico Letta hanno scelto: la contrapposizione noiloro che prende forma nella propaganda e nelle cartoline bi-colore, con la negazione della dignità di ogni altra scelta che sfugga alla dicotomia. Le ‘destre’ sono un nemico assoluto e Giorgia Meloni l’incarnazione di una svolta pericolosa. Tuttavia, questa chiave non sembra aprire molte porte. Soprattutto, la più importante, quella dell’identità. Chi è il Pd? Oltre ad essere il nemico delle destre? Quello dell’identità è un problema antico per i dem, che a seconda dei segretari ha oscillato tra apertura e ditta, riformismo e originali strade verso il recupero di una natura di ‘sinistra’. Si ripropone oggi, in modo drammatico.

La polarizzazione che il Pd ha scelto non sembra farlo decollare nei sondaggi, ma soprattutto lo caratterizza solo in negativo. Mentre in positivo ascoltiamo le litanie delle cose da fare. Poi ci sono i compagni di strada. Il cocomero di Bonelli e Fratoianni, per i quali i vertici del Pd hanno ritenuto valesse la pena rinunciare al centro di Calenda. Una scelta identitaria? O solo un passaggio venuto male nella costruzione dell’armata contro le destre? Certo è che seguendo la campagna si ha l’impressione che il nemico del Pd sia più il centro, che non una destra che consente l’illusione di un’identità riflessa (ciò che non siamo).

E vi è quindi la grande questione del M5S di Conte, preteso neocampione di una sinistra di popolo. L’esclusione del movimento dal novero degli alleati dopo il suo ruolo nella caduta del governo Draghi è comprensibile. Ma è poco coerente con la scelta del fronte anti-destre (se il pericolo è così grande allora non si possono che raccogliere tutte le forze). E le recenti bordate polemiche dei dirigenti Pd contro il partito di Conte, spesso analoghe a quelle dei critici di sempre del connubio Pd-5S, appaiono bizzarre, da ‘contrordine compagni’. Tanto più che quel connubio era spesso stato presentato come una scelta di contenuto e identità.

Ma per aumentare la confusione, pur in campagna elettorale, nonostante la chiara scelta del segretario, non si arrestano le voci dei dirigenti che rimpiangono l’antico amore e non nascondono di volerlo rinfocolare. Dal grande ammiratore di Conte, Goffredo Bettini, all’eterno Dario Franceschini, che ieri in un’intervista ricordava che, insomma, Conte non è né Meloni né Salvini. Al tempo stesso, nel partito allignano timori (e forse speranze) di una nuova virata al centro dopo le elezioni e la vittoria della destra. Insomma, nemmeno queste improvvise elezioni sembrano poter rappresentare l’occasione per chiarire l’identità di un partito che in quindici anni di vita ha continuato a cercarsi senza trovarsi. Mentre chi sta sfuggendo alla polarizzazione che il Pd ha voluto costruire come tattica elettorale, certo, ma anche per dire qualcosa di sé, ovvero centristi e grillini, potrebbe rivelarsi uno sfidante ben più pericoloso del previsto.