L’ultima scalata di Musk Ecco perché vuole Twitter

A Mister Tesla non basta il 9,2% e mette sul piatto 43 miliardi di dollari "Voglio garantire la libertà di parola". Ma in realtà pensa a una società privata

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di Matteo Massi

Quanto valgono i nostri pensieri racchiusi in 280 caratteri? A sentire Elon Musk, twittatore seriale (riesce nell’impresa di scrivere almeno 30 tweet al giorno, e lo faceva anche quando il limite dei caratteri era 140), almeno 43 miliardi di dollari. Ieri il padre e padrone di Tesla ha lanciato un’Opa ostile sul social network meno modaiolo e ha già ricevuto un bel no dal principe saudita (che è tra gli azionisti) e dal cda, facendo oscillare il titolo in Borsa. I primi cinguettii (2006) sono praticamente coevi ai post su Facebook (2004). Erano gli anni d’oro della Silicon Valley, ove spuntavano innovazioni e social a ogni angolo. Ma Twitter e Facebook hanno avuto storie diverse, non foss’altro per il destino dei due inventori. L’ascetico Jack Dorsey, barba lunga fino al petto (ma ben curata), si è tirato fuori dalla mischia e un mese fa in un’intervista ha detto: "Ho messo al primo posto la mia società, non il mio ego". E ha fatto un passo di lato nell’anno più difficile di Twitter, che era iniziato con la censura a Donald Trump, cui era stato bloccato. Mark Zuckerberg non ci ha pensato invece minimamente a mollare la poltrona di padre e padrone di Facebook, anzi nel frattempo si è allargato (WhatsApp e Instagram) e ha cambiato nome e probabilmente anche ragione sociale alla sua creatura. Che si chiama ora Meta ed è immersa nel mondo parallelo, ove il virtuale s’incrocia col reale, del Metaverso.

E in tutto questo cosa c’entra Elon Musk? Il signor Tesla ha mostrato una certa predisposizione all’iperbole (dall’auto elettrica alla navicella spaziale) e da tempo cerca un social che gli garantisca libertà d’espressione (era stato tra i pochi a criticare apertamente la scelta di Twitter di bandire Trump). Che cosa ha in testa? Twitter ha sicuramente tutt’altro pubblico rispetto a Facebook e agli altri social. Muove ancora un dibattito su argomenti quantomeno più seri e non solo sulle facezie. Musk l’ha sperimentato sulla sua pelle e su quella di Tesla con alcuni spericolati tweet che hanno creato rally in Borsa e un paio di incidenti diplomatici. Una volta si dava la scalata alle banche, che succeda ora per un social network – tenendo conto che Musk ha rastrellato una bella manciata di azioni, diventando primo azionista (9,2%) ma rifiutando di entrare nel board proprio per giocarsi la carta messa sul tavolo ieri – deve quantomeno far riflettere. Oltre a essere considerato, inevitabilmente, un segno dei tempi.

C’è in gioco solo la libertà d’espressione, come dice o vorrebbe far credere Musk, o qualcos’altro? Quali sono i piani di Elon? Difficile pensare alla filantropia. Se Musk riesce nella sua scalata si ritrova un social network non nuovo, come diceva di volere, ma ben rodato, con una platea di 330 milioni di utenti (attivi ogni mese). Per capirsi: Trump, che ha fondato il suo social Truth, è partito da zero e si è fermato a qualche milione. Una bella differenza. E il dibattito sulla libertà di parola? Intanto Musk ragiona su quali cambiamenti tecnici introdurre (come il tasto modifica) per renderlo più accattivante, fino a trasformarlo (l’ha ammesso lui stesso) in una società privata che avrebbe a disposizione milioni di dati significativi (e personali) degli utenti del social. E se la libertà, qualora Musk diventasse plenipotenziario di Twitter, si trasformasse in propaganda? Proprio una bella domanda.