Mercoledì 24 Aprile 2024

Lula, la sinistra e il fascino dei papi stranieri

Simone

Arminio

Ah, l’erba del vicino. È il più abusato dei luoghi comuni, però c’è sempre qualcuno a cui davvero sembra più verde. Per esempio alla sinistra italiana, che in questi giorni sta citando a esempio da seguire Luiz Inácio Lula da Silva, rieletto alla guida del Brasile per la terza volta dopo la destituzione, il carcere, la riabilitazione. Nulla di male, chiariamo: la sua storia è uno straordinario romanzo popolare. Ma il vero tema è la perenne ricerca, tra i progressisti nostrani, di un esempio a cui guardare, un papa straniero da ammirare,

un leader carismatico e un po’ supereroe, federatore delle forze progressiste con la taumaturgica imposizione delle mani, per attirare le folle perdute e riportare il centro sinistra "great again".

Uno come Lula, dicono adesso tutti, "in grado di superare le divisioni" (Debora Serracchiani), un "riferimento molto importante per gli equilibri di quella parte del mondo e non solo" (Sergio Cofferati), che "somiglia a quello che dice, e vince, e noi no, o non abbastanza" (Peppe Provenzano). Un esempio da imitare come solo poco tempo fa erano state la democratica americana Alexandria Ocasio-Cortez, la premier socialista finlandese Sanna Marin, quello spagnolo Pedro Sánchez (ma anche Zapatero 15 anni fa era piaciuto un sacco), il teorico della terza via Tony Blair o forse no, meglio spingersi un po’ più a sinistra e, subito archiviata l’armata calimera del greco Tsipras, cercare anche in Italia un António Costa, il premier portoghese che da sette anni guida la rinascita economica e sociale del Paese. Sette anni: chissà se, oltre al nome e al carisma, qualcuno si sarà concentrato anche su questo dettaglio. Perché il Partito Democratico italiano, in fondo, di anni ne ha 15 e di segretari ne ha già avuti ben dieci. Tutti eletti dopo un lungo processo democratico e dal basso, ma poi tutti inesorabilmente finiti in cantina. Non erano Lula, Sánchez, Marin, Costa o banalmente, direbbe Stanis di Boris, erano "troppo italiani"?