Luca Attanasio e la moglie Zakia. "Vi racconto il loro amore"

L’amico di famiglia ricorda: "Erano giovani e felici, ma si illudevano che il bene fosse sempre destinato a vincere"

Luca Attanasio e la moglie Zakia Seddiki (Ansa)

Luca Attanasio e la moglie Zakia Seddiki (Ansa)

"Si tenevano per mano, si carezzavano, si sorridevano da lontano. Erano giovani e felici, due ragazzi che si illudevano che il bene fosse destinato a vincere se tutti avessero fatto la loro parte. Luca Attanasio e la moglie Zakia erano dello stesso conio. Due puri. Felici come ragazzini che scoprono il mondo e felici di condividere con gli altri la loro contagiosa felicità. Il loro amore non finirà". Antonio Lojacono, 68 anni, medico umbro e presidente dell’Ong Gsi Italia che opera proprio a Kinshasa, conosceva molto bene l’ambasciatore italiano e sua moglie.

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"Andavo spesso in residenza, ogni volta che ero nella capitale. Ero un po’ di casa". Un rapporto fecondo. "Luca stava sempre in prima linea, faceva sempre, testardamente, più di quello che doveva – racconta Lojacono – e se mi azzardavo a dirgli che magari toccava ad altri, al ministero degli Esteri, alla Cooperazione, anche al governo congolese, lui mi diceva “io devo sporcarmi le mani per aiutare la gente, devo mettermi in gioco fino in fondo senza nascondermi dietro il mio ruolo, sarebbe anche facile, ma sento che questo è il mio dovere: essere coinvolto. Ho una grande opportunità di aiutarli e voglio usarla. Ho fede nell’Italia solidale“. Per lui era una questione personale. Glielo dicevo sempre: tu sei un cooperante sotto mentite spoglie, un volontario facente funzioni di ambasciatore. E lui rideva".

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"Come lui era Zakia – prosegue Lojacono – che era figlia di una buona famiglia marocchina, donna bella, garbata e solare, che aveva voluto condividere con lui l’impegno sociale e aveva fondato una ong che aveva battezzato ’Mama Sofia’ in onore di sua madre, che spesso veniva a Kinshasa e soggiornava con loro. Non lo faceva per compiacere il marito, non era una cosa formale, lo faceva perché lo sentiva. Zakia, con la sua ong, si occupava delle bambine di strada, bimbe abbandonate, bambine che non avevano nulla e nessuna prospettiva, alle quali dava una casa e un’educazione. Non di rado pagata di tasca propria da Zakia e Luca, se i fondi non bastavano, e di solito non bastavano. E non di rado aveva come primo volontario proprio Luca, il suo Luca".

Anche tra i cooperanti congolese la musica è la stessa. "Antonio, mio grande amico, era uno di noi" dice Leon Genere Mbanga, dell’ong Goseper. "Ricordo il Natale nel quale non solo ci ha aiutato a trovare i regali per tutti i bambini che assistiamo, ne avrà portati quasi un centinaio; non solo ci ha aiutato nel fare le decorazioni, i cappelli da Babbo Natale per i bambini, ma nella festa che abbiamo organizzato ha fatto anche da animatore".

"Ha portato anche le sue tre bambine piccole – prosegue Leon – e con nostra grande sorpresa non aveva problemi a che giocassero con gli altri bambini di strada. Per lui non era un problema. “Potrebbero essere sorelle“, mi disse, quando una bambina congolese andò a baciare una delle sue figlie. Era un uomo semplice, candido, forse troppo candido in un mondo nel quale il male c’è eccome e se lo è portato via. Andava protetto di più, non so perché lo hanno lasciato andare su quella strada in quella provincia. Io non sarei andato, e sono congolese. Ma sono sicuro che quando gli hanno annunciato, “non avremo la scorta perché la strada è sicura“, lui avrà detto: allora meglio così. Ed è andato incontro al suo terribile destino".

A Kinshasa tutti i cooperanti, missionari e laici, lo conoscevano, e per tutti aveva un aiuto, dalle suore poverelle dell’istituto Palazzolo alla comunità di Sant’Egidio. "Per noi era un fratello, un’anima appassionata dalla fede genuina e fattiva, una fede che si traduce in opere, in azioni – ricorda don Maurizio Canclini, sacerdote milanese in Congo da sette anni dopo una vita in Zambia – e per i cooperanti e i missionari lui c’era sempre. Un faro nella notte di chi gira la testa per non vedere, una eccezione tra tanti indifferenti". "Mi chiamava – ricorda Lojacono – e ne aveva sempre una. Da anni la cooperazione è autonoma dall’ambasciata e così lui chiamava noi. Magari, mi diceva: “Una nostra suorina mi ha chiesto dei medicinali. Non è che hai un container in partenza? Non è che riesci a inserirmeli? Guarda che cosa puoi fare e poi, abbi pazienza, dovrei fare arrivare anche dei pannelli fotovoltaici, sai, per quella scuola di cui ti parlavo. Vedi di darmi una mano eh“. E io come facevo a dirgli di no?".

Raccoglieva sì, Luca, e senza troppo clamore faceva del bene. Con lo stesso impegno aveva mandato in Italia a curarsi Suor Annalisa, che si era ammalata di Covid. Con la stessa naturalezza interveniva presso altre ambasciate per risolvere problemi umanitari. Per Zakia e le bambine, per la sua famiglia, ma anche per l’Italia e per quell’Africa che gli aveva rapito il cuore è una gran perdita davvero.