Firenze, 8 settembre 2023 – “Sono scossa . Non è stato facile andare per la prima volta di fronte a quella fabbrica dove so che è morta mia figlia. Il dolore è tornato tutto su insieme". Emma Marrazzo, mamma di Luana D’Orazio, l’operaia di 22 anni stritolata dall’orditoio manomesso a cui stava lavorando a Montemurlo (Prato) nel maggio 2021, ha fatto il passo più difficile dopo la morte della figlia. Con la compostezza e l’educazione che l’hanno sempre contraddistinta, mercoledì mattina si è presentata fuori dal cancello dell’Orditura Luana srl di via Garigliano in qualità di testimonial della campagna a sostegno della proposta di legge per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro. Un’azione dimostrativa, pacifica e autorizzata per raccogliere firme che ha riservato qualche momento di tensione.
Signora Marrazzo, come sta?
"Ho il magone. Mi è pesato andare là".
Ci era mai stata dopo la morte di sua figlia?
"Mai, neppure quando Luana era viva. Sapevo solo dove era. Sono stata male sia prima sia dopo".
Perché far partire la campagna nazionale proprio lì?
"Perché è diventato un simbolo di morte sul lavoro, purtroppo. Era doveroso per la campagna che stiamo portando avanti anche alla luce della tragedia di Brandizzo. Non siamo andati lì per insultare nessuno. È stato tutto molto civile".
C’è stato, però, qualche attimo di tensione.
"Sì, non per colpa nostra. Era stato tutto annunciato tanto che la proprietà aveva fatto rimuovere l’insegna all’esterno della fabbrica perché non si vedesse il nome della ditta. Che vergogna".
È vero che qualcuno vi filmava da dietro il cancello?
"Sì certo, il signor Faggi (il marito della titolare Luana Coppini, entrambi hanno patteggiato rispettivamente un anno e sei mesi e due anni per omicidio colposo e omissione dolosa delle cautele antinfortunistica, ndr). Aveva montato una piccola telecamera su un’asta, tipo quelle per fare i selfie, e la teneva sopra il cancello per riprenderci".
Perché?
"Non lo so. Mi è sembrata una provocazione. L’affronto peggiore che mi potessero fare. Io gli ho mostrato la cover del mio cellulare con la foto di Luana e gli ho detto: ‘Riprendi bene questa, così te la ricordi’. Non è rispetto quello, ma abbiamo capito che non abbiamo a che fare con esseri umani".
Qualche collega di sua figlia è uscito a firmare?
"Nessuno. Non si possono definire colleghi. A un certo punto qualcuno è uscito dall’orditura. Ridevano fra di loro, mi sono sembrati crudeli".
Non avranno avuto il coraggio, di fronte ai titolari...
"Non lo so. Dopo la morte di Luana vennero alcune colleghe a casa mia. Poi non ho più visto nessuno. In quella fabbrica sembra tutto normale, come se non fosse successo nulla".
Sua figlia è morta perché è stata accertata la manomissione del macchinario, per questo porta avanti la battaglia per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro?
"Certo. Nessuno mi ridarà mia figlia, mentre queste tragedie continuano ad accadere tutti i giorni perché i responsabili delle aziende preferiscono avere un morto che investire sulla sicurezza. Un morto costa meno. Le leggi esistono ma possono essere aggirate facilmente".
In che senso?
"Basta patteggiare una pena esigua e tutto torna come prima. La ditta dove è morta mia figlia non ha mai chiuso neppure un giorno dopo la tragedia. Un’ora il giorno del funerale. E’ quanto vale la vita di mia figlia?".