Lotta al virus: Draghi blinda le zone rosse Visite ai parenti vietate, sì alle seconde case

Confini regionali chiusi fino al 27 marzo. Il lockdown nelle aree ad alto rischio diventa più duro: niente mini ritrovi tra amici. Possibile una nuova stretta anche nelle zone gialle. I govenatori: "Subito il piano ristori e nuovi parametri per i colori"

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di Elena G. Polidori

Se qualcuno si aspettava un allentamento delle misure anti Covid da parte del nuovo governo, è rimasto sonoramente deluso. Anzi, come annunciato, nel primo Consiglio dei ministri operativo di ieri, il governo Draghi ha stretto ancora di più le maglie delle regole previste per le zone rosse. E la promessa – che non fa ben sperare il fronte degli aperturisti – è che a breve venga proposta alle Regioni una diversa declinazione delle restrizioni previste nelle varie zone, soprattutto quelle relative alle zone gialle che, secondo gli esperti, sono prese sotto gamba dai cittadini, soprattutto adesso che incombe l’incubo delle varianti.

E così, mentre i Comuni e soprattutto il leader della Lega, Matteo Salvini, chiedono di poter tornare a cenare nei ristoranti, (ma anche di riaprire al più presto palestre, piscine e teatri, altrimenti – sostiene il Capitano - i danni all’economia saranno "devastanti"), Mario Draghi, con il primo decreto legge, ha vietato quello che prima il Conte II aveva concesso, ovvero le visite nelle abitazioni private nelle zone rosse, anche quelle dei congiunti, salvo motivi di lavoro, necessità o salute. Resta la possibilità di "rientrare" nelle seconde case anche in zona rossa.

Gli spostamenti verso abitazioni private restano consentiti, tra le 5 e le 22, in zona gialla all’interno della stessa Regione e in zona arancione all’interno dello stesso Comune, fino a un massimo di due persone, che possono portare con sé i figli minori di 14 anni (o altri minori di 14 anni sui quali esercitino la responsabilità genitoriale) e le persone conviventi disabili o non autosufficienti.

Il decreto, poi, proroga fino al 27 marzo su tutto il territorio nazionale, il divieto di spostarsi tra diverse Regioni o Province autonome, salvo gli spostamenti "motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o motivi di salute". Nelle zone arancioni, per i Comuni con popolazione non superiore a 5mila abitanti, sono consentiti gli spostamenti anche verso Comuni diversi, purché entro i 30 chilometri dai confini. "Prendiamo atto del provvedimento", ha commentato, laconico, il presidente delle Regioni, Stefano Bonaccini. "L’importante – ha proseguito – è che non arrivino più provvedimenti comunicati poche ore prima o 24 ore prima", ma soprattutto che si vada "a rivedere complessivamente i 21 parametri che oggi determinano lo spostamento, in andata o in uscita" tra le fasce colorate. Quello su cui puntano, soprattutto, le Regioni, è l’immediata attivazione di un piano ristori che venga davvero incontro alle categorie che hanno maggiormente sofferto e che questo piano vada di pari passo "con ogni decisione restrittiva, sia essa ministeriale o regionale".

"Come Veneto – gli ha fatto eco il presidente Luca Zaia – ho chiesto che ci sia un tagliando rispetto all’approccio e ai parametri dopo quest’anno di esperienza. E ho chiesto che il Cts venga rivisto e rafforzato e che possa avere un portavoce unico, così da evitare le dichiarazioni e le contro dichiarazioni".

Su questo fronte sembra essere pronto a entrare in scena il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo. "Il governo – ha spiegato all’uscita di Palazzo Chigi – ci ha chiesto moderazione nelle esternazioni delle nostre comunicazioni, ma aspettiamo che il presidente ci dica cosa fare".