Lockdown, basta la parola per farci tremare

Massimo

Donelli

Ricordate il primo lockdown? Cominciò il 9 marzo 2020, ovvero 651 giorni fa. Andrà tutto bene, ripetevamo l’un l’altro. Ne usciremo migliori. Nulla sarà più come prima. Intanto, dai, canta che ti passa! Tu dal tuo balcone, caro vicino, io dal mio. Visto? Fino a ieri, uno stringato "buongiorno" in ascensore. Ora, sembriamo amici da una vita. Non è così male essere ai domiciliari, vero? Poi, con il passare di giorni, settimane, mesi, è sembrato di impazzire. Abbiamo dovuto aspettare il 4 maggio per rimettere il naso in strada. E il 15 giugno per uscire dai confini regionali. Nel durante le abbiamo provate tutte per afferrare brandelli di normalità. Lo smart working, il lavoro da casa. La Dad, la scuola a distanza. Le family call, le videochiamate per vedere come sta la nonna, quant’è cresciuta la nipotina, che cosa ha cucinato il papà, all’improvviso scopertosi chef. Intanto, l’economia è precipitata. La Borsa anche. Solo i numeri dell’Auditel si sono impennati. Prigionieri del virus, abbiamo trovato nella tv un secondino compassionevole, che ci ha illuso di girare il mondo con documentari, serie, film…

Lockdown. L’Accademia della Crusca, istituzione linguistica fondata nel 1583, racconta che il termine è comparso per la prima volta in Italia l’8 ottobre 2001, quando i giornali hanno riferito del piano per isolare New York nel caso di un altro 11 settembre. L’Oxford English Dictionary, invece, ne spiega il significato originario: "Confinare tutti i prigionieri nelle loro celle per un prolungato periodo di tempo, solitamente come misura di sicurezza in seguito a disordini". No, non vogliamo più essere prigionieri, vero? "Emmo za daeto!" si dice a Genova. Sì, abbiamo già dato. E, poi, scusate, dove mai troveremmo le forze per un bis?