Lo zoo dei partiti Api operose, elefanti e asinelli Ci vuole un simbolo bestiale

Il ministro degli Esteri e Tabacci presentano ’Impegno civico’ e scelgono un’ape come Rutelli nel 2010. Ma piante e fiori restano storicamente le più utilizzate: si va dal garofano alla stella alpina

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David Allegranti

L’ape Maia, pardon, Di Maio è finita nel simbolo di ‘Impegno Civico’ insieme a Bruno Tabacci. Leggermente meglio, come nome, di ‘Insieme per il futuro’, il gruppo parlamentare costituito dagli scissionisti a Cinque stelle, ancorché stra-abusato. Gli archivi ricordano un ‘Impegno civico’ a Bisceglie per le elezioni amministrative del 1996; a Marino nel 2003; a Messina nel 2022 (ma l’elenco è appunto sterminato). Laddove se ne ricava che come nome è più utile per una competizione comunale che non per le elezioni politiche, ma vabbè. Qui tuttavia si vuole sottolineare un altro eterno ritorno dell’uguale, ovvero nei loghi, che per queste insolite elezioni di settembre vanno presentati ufficialmente dal 12 al 14 agosto. Oltre dieci anni fa, nel 2010, Francesco Rutelli presentò il simbolo dell’Api, Alleanza per l’Italia, dove Tabacci peraltro ha militato, con ben due api svolazzanti su fiore d’arancio, una verso destra e una verso sinistra (forse a significare che il centro parla con tutti, chissà). All’epoca Rutelli spiegò che il simbolo giocava evidentemente con l’acronimo di Api e richiamava il concetto di "operosità delle api" e quello di "pacificazione e nozze del fiore d’arancio". L’Api, spiegò ancora Rutelli, avrebbe avuto un "ruolo pacificatore", ma nessuna illusione perché, "quando serve, le api hanno anche il pungiglione". "C’è un’ape nel simbolo di Impegno Civico, ed è il simbolo della battaglia ambientalista che intendiamo portare avanti", ha spiegato ieri il Di Maio a transizione ecologica.

Corsi e ricorsi storico-politici, gli spin doctor forse sono tutti in vacanza. Oppure hanno deciso che niente è più inedito del già edito. Prendiamo il simbolo dei Democratici, creatura prodiana nata nel 1999 con annessa citazione dell’asinello del Partito democratico americano. Anche lì, trionfi animaleschi già visionati. Affermatosi nell’immaginario nel 1870 su Harper’s Weekly grazie alla affilata matita di Thomas Nast (che ha anche creato l’elefante usato dal Gop, il Partito repubblicano), l’asinello fu in realtà usato per la prima volta nel 1828 da Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti. Jackson fu tacciato di essere un "somaro" dagli avversari per i suoi slogan populisti e così rispose usando un asinello nei suoi poster elettorali. Era invero cocciuto, Jackson, ma in fondo il simbolo gli portò bene, visto che rimase alla guida degli Stati Uniti per otto anni.

Di solito, comunque, alla zoologia si preferisce la botanica, come aveva già rilevato per le elezioni del 2018 lo studioso Gabriele Maestri, autore di un interessante blog sulla simbologia di partito, isimbolidelladiscordia.it: "Soprattutto i fiori – ha spiegato nel 2018 – sono molto usati all’interno dei simboli e questo fatto ha una lunga tradizione politica, dal garofano alla rosa, dalla stella alpina alla margherita, fino alla recentissima peonia; e poi ci sono le piante, basti pensare alla quercia o all’ulivo o per andare più indietro con i tempi all’edera".

Matteo Renzi, nel 2012, prima di arrivare a Palazzo Chigi e prima di dimettersi da rottamatore, ne approfittò per una tagliente battuta rivolta ai dirigenti del Pd che voleva mandare a casa: "Dalla Quercia all’Ulivo, passando per la Margherita, avete deforestato mezzo Paese, ma i volti sono sempre gli stessi". Vecchi i volti, vecchi i simboli. Anche oggi, con l’ape Di Maio.