Venerdì 19 Aprile 2024

Lo studio: il lockdown non è la cura "Impariamo a convivere col virus"

Ricerca americana critica la strategia dei divieti. Il chirurgo Spada: "Chiusi in casa per mesi? Idea superata"

Migration

di Alessandro Malpelo

Ricercatori della Emory e della Penn State University, negli Usa, hanno rilanciato l’idea del cercare di convivere con il virus Sars-Cov-2 senza esagerare con i lockdown generalizzati, considerando che questo nemico tornerà a ripresentarsi, tra alti e bassi, come avviene per un raffreddore. Gli esseri umani, questo l’assunto di partenza riportato su Science magazine, sono sempre stati esposti ad agenti infettivi: si paga un prezzo iniziale, ma alla fine voltiamo pagina. In Italia al contrario, con le vaccinazioni a rilento, di questo passo ne usciremo tra vent’anni. Varrebbe la pena essere meno intransigenti? Ne parliamo con Paolo Spada, chirurgo vascolare, autore di Pillole di Ottimismo, che vanta buoni contatti con gli ambienti della Emory University.

Dottore, quale potrebbe essere la soluzione a lungo andare?

"Evidentemente nessuno può pretendere che ci si chiuda tutti in casa mesi e mesi, mi auguro che l’idea del lockdown così concepito sia superata per sempre. Del resto, questo virus non è sconfitto. La speranza di una convivenza accettabile si è infranta a ottobre, ora siamo impegnati in questo continuo tiro alla fune tra noi e il virus. Quindi non è una convivenza pacifica, ma alla fine l’accetteremo. Da quello scenario però siamo ancora lontani".

Le misure hanno un costo economico e psicologico enorme.

"La soluzione dettata dal buon senso dice di trovare una via di mezzo. Da un lato prevale l’idea di chiudere tutto per evitare il virus, dall’altra quella di riaprire tutto per tornare a vivere pienamente. Ci sono sono buone ragioni da entrambe le parti. Se chiudessimo tutto avremmo delle ricadute incompatibili per questa società".

Lei da che parte sta?

"Sono per le azioni di contenimento mirate e calibrate, possibilmente limitate nel tempo e nello spazio, oltre che nelle attività da chiudere. Finalmente si inizia a considerare provvedimenti su base territoriale circoscritta, senza vessare territori adiacenti dove c’è bassa circolazione del virus".

In modi diversi, in altre nazioni (Svezia, Israele, India, Stati Uniti) sembrano vicini all’immunità di gregge. Perché noi siamo ancora paralizzati?

"Ci siamo fatti prendere la mano per paura delle varianti virali, temendo focolai scolastici, che sono invece modesti e impattano poco. La scuola dovrebbe essere chiusa solo come provvedimento estremo. A parte il disagio recato alle famiglie, avremo gravissime ricadute per alunni e studenti".

Non sarebbe l’ora di allentare le misure?

"Nel nostro team non siamo mai stati aperturisti. Vinceremo grazie alle conquiste della scienza. Niente apertura totale, ma apertura dove si può. La teoria dei due scogli, evitare la pandemia da una parte, prevenire le ricadute sociali e psicologiche dall’altra. Far circolare il virus liberamente ora sarebbe da irresponsabili, abbiamo ancora tantissime persone fragili non vaccinate che rischiano di morire".

Più circola il virus, prima arriviamo all’immunità di gregge?

"Una teoria che va spargendosi da tempo, l’idea di lasciar circolare il virus nella popolazione robusta. Nella pratica non funziona, gli inglesi ci hanno provato e hanno dovuto richiudere con lockdown severi".

In definitiva, quando ne usciremo?

"Quando arriveremo ad accettare un prezzo da pagare, come per l’influenza, che pure comporta 8-10mila morti all’anno, l’abbiamo sempre tollerata senza mascherine e lockdown".